2012-07-31 17:29:30

Il nunzio a Gerusalemme, mons. Franco: i cristiani ponti di pace tra israeliani e palestinesi


Mancano pochi giorni alla conclusione dell’incarico di mons. Antonio Franco quale nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina. Un servizio, intenso e delicato, durato sei anni che il presule ha portato avanti con grande impegno e dedizione. In questa intervista di Alessandro Gisotti, l’arcivescovo Antonio Franco si sofferma sulla sua esperienza in Terra Santa e confida i suoi sentimenti nel momento in cui si appresta a lasciare la nunziatura:RealAudioMP3

R. – Il sentimento che provo è, prima di tutto, quello di una grande gratitudine al Signore e ai superiori che mi hanno consentito di passare questi anni qui in Terra Santa. Devo dire che non ero mai stato in Terra Santa e che sono venuto qui, per la prima volta, proprio come rappresentante del Santo Padre. Quindi per me è stato veramente un privilegio! Ho potuto sperimentare l’unicità di questa terra sul piano spirituale, e ciò che significa nel quadro della storia e della Salvezza, dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo. Poi c'è la complessità delle problematiche riguardo le situazioni concrete che si vivono in questa terra, e che la Chiesa presente in questa terra, è chiamata a vivere.

D. - Quale testimonianza danno oggi le comunità cristiane della Terra Santa ai confratelli di tutto il mondo, anche ai pellegrini che da tutto il mondo vengono in Terra Santa?

R. - Prima di tutto per me la testimonianza è quella della loro presenza, del loro essere qui. Loro oggi rappresentano la Chiesa dei primi secoli, rappresentano tutta la tradizione dello sviluppo della vita cristiana dagli inizi. I cristiani testimoniano prima di tutto la loro fede in Gesù, la fede quindi che dà speranza.

D. - Quanto è importante il ruolo della Chiesa, anche nella sua esperienza, come ponte tra israeliani e palestinesi, in vista della riconciliazione e della pace?

R. - La Chiesa può e deve cercare di fare la mediazione ed essere quindi portatrice di un messaggio agli uni e agli altri. È quello che si cerca di fare attraverso le tante iniziative che ci sono di coinvolgere gli uni e gli altri, di essere in rapporti con gli uni e con gli altri per cercare di creare la mentalità che porti al superamento delle tensioni. Si mantiene viva un’esigenza.

D. - Nel 2009, Benedetto XVI, ha visitato la Terra Santa. Fra poche settimane, sarà in Libano. Qual è il contributo specifico che, secondo lei, il Pontefice può offrire a tutto il Medio Oriente, dunque non solo ai cristiani della regione?

R. - Il contributo è di testimonianza, una visione di convivenza umana, in cui prevalga il rispetto per i diritti e di qui lo sforzo, l’impegno delle componenti politiche, delle forze politiche nel porre come scopo della propria azione la persona umana. Quindi il compito del Papa, il richiamo che il Papa porta, prima di tutto, è un forte appello alla dimensione più profonda dell’essere, della persona, che è quella spirituale, religiosa, che è la sorgente anche di quella speranza, di quel senso che si dà alla vita e di quell’impegno per costruire una vita in cui ci sia il rispetto per l’altro, la pace, l’accoglienza dell’altro.

D. – Nel momento in cui si appresta a lasciare l’incarico, qual è il suo auspicio per tutti i popoli della Terra Santa?

R. - Qui il problema di fondo è la mancanza di pace. L’aspirazione più profonda del mio cuore è che veramente si arrivi a creare le condizioni di pace nella giustizia, perché non ci può essere pace se non c’è giustizia, se non c’è rispetto reciproco.







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