Il nunzio a Gerusalemme, mons. Franco: i cristiani ponti di pace tra israeliani
e palestinesi
Mancano pochi giorni alla conclusione dell’incarico di mons. Antonio Franco quale
nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina.
Un servizio, intenso e delicato, durato sei anni che il presule ha portato avanti
con grande impegno e dedizione. In questa intervista di Alessandro Gisotti,
l’arcivescovo Antonio Franco si sofferma sulla sua esperienza in Terra Santa
e confida i suoi sentimenti nel momento in cui si appresta a lasciare la nunziatura:
R. – Il sentimento
che provo è, prima di tutto, quello di una grande gratitudine al Signore e ai superiori
che mi hanno consentito di passare questi anni qui in Terra Santa. Devo dire che non
ero mai stato in Terra Santa e che sono venuto qui, per la prima volta, proprio come
rappresentante del Santo Padre. Quindi per me è stato veramente un privilegio! Ho
potuto sperimentare l’unicità di questa terra sul piano spirituale, e ciò che significa
nel quadro della storia e della Salvezza, dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo.
Poi c'è la complessità delle problematiche riguardo le situazioni concrete che si
vivono in questa terra, e che la Chiesa presente in questa terra, è chiamata a vivere.
D.
- Quale testimonianza danno oggi le comunità cristiane della Terra Santa ai confratelli
di tutto il mondo, anche ai pellegrini che da tutto il mondo vengono in Terra Santa?
R.
- Prima di tutto per me la testimonianza è quella della loro presenza, del loro essere
qui. Loro oggi rappresentano la Chiesa dei primi secoli, rappresentano tutta la tradizione
dello sviluppo della vita cristiana dagli inizi. I cristiani testimoniano prima di
tutto la loro fede in Gesù, la fede quindi che dà speranza.
D. - Quanto è importante
il ruolo della Chiesa, anche nella sua esperienza, come ponte tra israeliani e palestinesi,
in vista della riconciliazione e della pace?
R. - La Chiesa può e deve cercare
di fare la mediazione ed essere quindi portatrice di un messaggio agli uni e agli
altri. È quello che si cerca di fare attraverso le tante iniziative che ci sono di
coinvolgere gli uni e gli altri, di essere in rapporti con gli uni e con gli altri
per cercare di creare la mentalità che porti al superamento delle tensioni. Si mantiene
viva un’esigenza.
D. - Nel 2009, Benedetto XVI, ha visitato la Terra Santa.
Fra poche settimane, sarà in Libano. Qual è il contributo specifico che, secondo lei,
il Pontefice può offrire a tutto il Medio Oriente, dunque non solo ai cristiani della
regione?
R. - Il contributo è di testimonianza, una visione di convivenza umana,
in cui prevalga il rispetto per i diritti e di qui lo sforzo, l’impegno delle componenti
politiche, delle forze politiche nel porre come scopo della propria azione la persona
umana. Quindi il compito del Papa, il richiamo che il Papa porta, prima di tutto,
è un forte appello alla dimensione più profonda dell’essere, della persona, che è
quella spirituale, religiosa, che è la sorgente anche di quella speranza, di quel
senso che si dà alla vita e di quell’impegno per costruire una vita in cui ci sia
il rispetto per l’altro, la pace, l’accoglienza dell’altro.
D. – Nel momento
in cui si appresta a lasciare l’incarico, qual è il suo auspicio per tutti i popoli
della Terra Santa?
R. - Qui il problema di fondo è la mancanza di pace. L’aspirazione
più profonda del mio cuore è che veramente si arrivi a creare le condizioni di pace
nella giustizia, perché non ci può essere pace se non c’è giustizia, se non c’è rispetto
reciproco.