Stabilimento Ilva a Taranto, il cappellano: salvare l'occupazione e proteggere la
salute
Una delegazione di alcune decine di lavoratori dell'Ilva di Taranto è entrata nell'aula
del consiglio comunale del capoluogo ionico, dove dovrebbero essere prese iniziative
sulla delicata vicenda dello stabilimento, su cui grava un provvedimento di sequestro
disposto dalla magistratura. Per ora il sequestro degli impianti è stato solo notificato
ma non eseguito e si attende il Tribunale del Riesame, fissato per il 3 agosto. Oggi
a Taranto non ci sono proteste e all’Ilva si sta lavorando normalmente. Intanto sono
arrivati allo stabilimento i custodi amministrativi nominati dal Gip e incaricati
di avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni. All’Angelus,
ieri, il Papa ha lanciato un appello perché si tuteli sia il diritto alla salute sia
quello al lavoro. Parole “di grande conforto”, ha detto l’arcivescovo di Taranto mons.
Filippo Santoro. Parole accolte molto positivamente dalla gente, come ci conferma
al microfono di Debora Donnini, padre Nicola Preziuso, direttore dell’Ufficio
pastorale sociale della diocesi di Taranto e cappellano dell’Ilva:
R. – E’ stato
accolto con una grande sorpresa e una grande soddisfazione perché, hanno detto, il
Papa ha pensato a noi. Questo monito del Papa ci trova in sintonia con quello che
da tutti era auspicato da anni, cioè che il tema “Taranto” fosse assunto a livello
nazionale. Questo dramma è una conseguenza di qualcosa che è a monte, che è molto
grave, cioè il fatto che tra la fabbrica e la città si sia consumata sempre di più
una frattura.L’Ilvaha portato una cultura industriale e la difficoltà
della fabbrica nei riguardi del territorio è che purtroppo non si è fatta carico delle
problematiche del territorio.
D. – Adesso si attende la decisione del Tribunale
del Riesame sul sequestro: cosa chiedono gli operai e anche voi?
R. - Al Tribunale
del Riesame si arriva con un protocollo di intesa siglato appunto il 26 luglio tra
il ministro Clini, la Regione e la Provincia, cioè per la prima volta, dopo tanti
anni, tutta la classe politica si trova unanime verso un obiettivo comune: salvare
l’occupazione e salvare il tema della salute. Questa riconciliazione è autentica,
per cui che cosa si propone: aprire un tavolo, riuscire a mettere in campo le migliori
tecnologie e attivare risorse economiche. Lo stabilimento sta in piedi da più di 50
anni. La situazione dell’impatto ambientale proprio negli ultimi anni ha avuto un’evoluzione
positiva molto importante, non conosciuta, molto banalizzata - che non è giusto -
però è lo Stato che deve in qualche maniera porre riparo a una trascuratezza, oltre
all’attuale proprietà dell’Ilva ha già dichiarato di seguire i dettami della magistratura.
Come Chiesa abbiamo proposto intanto, la sera del primo agosto, una fiaccolata, quindi
un incontro di preghiera.
D. - C’è timore per una possibile chiusura degli
stabilimenti. Questa sarebbe una decisione drammatica, anche se il diritto alla salute
chiaramente è fondamentale…
R. – Sì, per i seguenti motivi: innanzitutto vanno
in crisi 20 mila famiglie, con tutto l’indotto. Un’altra crisi è derivata dal fatto
che l’obiettivo della fabbrica non era solo la produzione, quando fu installata, ma
anche quello di innestare una cultura industriale che trova nella capacità di produzione
il cambiamento culturale anche del nostro Sud: in contrapposizione alla cultura industriale
c’è la cultura clientelare. Quante persone in tutti questi anni hanno potuto permettersi
di formare una famiglia, di avere una vita dignitosa… Allora un dialogo può dare la
possibilità di una nuova fase in cui la dimensione dell’impatto ambientale venga presa
come cambiamento di stile di vita.
D. - Chiedete in pratica che gli stabilimenti
non vengano chiusi ma si proceda al più presto ad una bonifica?
R. – La bonifica
è possibile. Si tratta di prendere le migliori tecnologie e da subito metterle in
atto perché è giusto! E' vero, la gente perde la salute, ha perso la salute, specialmente
nella parrocchia del rione Tamburi in cui vivo dal ’79. Non è che non abbia vissuto
sulla mia pelle quel drammatico impatto ambientale, però c’è anche da dire che nel
’79-’80, la situazione delle polveri, la situazione dell’aria che non si poteva respirare,
era almeno 10 volte superiore a quella di adesso. C’è stata un’evoluzione, però quando
c’è animosità alla fine si estremizza e estremizzando non si arriva da nessuna parte.