Siria: si teme un massacro ad Aleppo. L'arcivescovo Jeanbart: l'Occidente ci aiuti
Giornata drammatica in Siria: il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,
si dice seriamente preoccupato per l’escalation dl conflitto e chiede al regime di
non usare armi chimiche e fermare l'offensiva su Aleppo. Da questa città arriva un
video diffuso su internet in cui i ribelli mostrano di aver catturato cento lealisti.
A Idlib gli insorti annunciano invece la cattura di 50 soldati regolari, tra i quali
14 ufficiali, presi "dopo una battaglia di 12 orenella quale è stata distrutta una
postazione militare. Le violenze proseguono anche a Damasco ed è allarmante la situazione
umanitaria. Secondo Caritas Libano sono oltre 15mila i profughi arrivati in 24 ore.
Un appello per una via d’uscita pacifica dalla crisi è venuto dall’arcivescovo
cattolico greco-melkita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart, a conclusione
di un breve vertice con gli altri vescovi cattolici tenutosi ieri nel suo arcivescovado.
Lo ha intervistato la collega della redazione francese Manuella Affejee:
R. – Ce que
nous demandons, si l’Occident, si les chrétiens en Occident, si les … Quello che
noi chiediamo, se l’Occidente, i cristiani d’Occidente, se i Paesi di buona volontà
vogliono aiutarci, che spingano per il dialogo e per l’intesa, ad un compromesso;
in altri termini, che sostengano la missione Annan con tutte le loro forze, che tentino
di fare in modo che gli scontri e i conflitti finiscano e al contempo non incoraggino
e non stimolino la violenza e l’odio, quanto piuttosto tentino di richiamare alla
calma e alla ragione. Ecco, questo soprattutto: credo che i Paesi europei, la Nato,
gli altri Paesi arabi collegati possano ottenere questo facilmente. Come la Russia,
dall’altro canto, anche altri Paesi che possono fare pressione sul governo siriano
affinché faccia qualcosa in questo senso. Ma questo non potrà accadere se non ci sarà
un cessate-il-fuoco con la cessazione delle violenze da tutte e due le parti. Solo
il dialogo può portare a risultati: non so se altri orientamenti, altri mezzi possano
risolvere il problema. Non lo so. E’ una guerra che può trascinarsi e procurare gravi
danni a tutti: al Paese, al governo, ai cittadini, alla regione stessa. Speriamo che
la situazione non degeneri. Siamo preoccupati per le sorti della libertà d’espressione,
della libertà di scelta, della libertà di appartenenza religiosa – ci sembra di vedere
che le cose vadano esattamente nel senso contrario. Quello che noi possiamo fare è
pregare: sappiamo che i nostri mezzi sono molto deboli. Non abbiamo che la parola,
e noi in un modo o nell’altro siamo imbavagliati. E quello che mi preoccupa è che
saremo ancora più imbavagliati dopo, se le cose non si risolveranno in maniera democratica,
in un modo degno di questo XXI secolo. Chi verrà, verrà: non è questo che ci preoccupa.
Quello che ci importa è che ai cittadini vengano riconosciuti tutti i diritti e tutti
i doveri; che, al tempo stesso, a tutti i cittadini siano riconosciuti i loro diritti.
Possiamo soffrire forse per la povertà, ma non vogliamo più soffrire per la mancanza
di libertà e di diritti …
Intanto, la Croce Rossa internazionale ha deciso
di ritirare dalla Siria parte del suo personale straniero a causa del deterioramento
della situazione. E per la prima volta dall'inizio dello scoppio della guerra in Siria,
forze fedeli al regime di Damasco si sono scontrate nella notte con l'esercito giordano
lungo il confine tra i due Paesi. Un episodio preoccupante per il pericolo di allargamento
del conflitto, in uno scacchiere, come quello mediorientale, già precario. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle
Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:
R. – Un episodio
sicuramente preoccupante, ma anche probabilmente limitato al calore della battaglia.
Stanno uscendo dalla Siria, in direzione della Giordania, migliaia e migliaia di profughi
soprattutto dalla vicina Damasco e dalla Giordania provengono aiuti alle varie fazioni.
Gli uomini fedeli al regime di Assad, inevitabilmente prima o poi sparano sui giordani
e viceversa.
D. – Evidentemente un Paese in guerra diventa un problema per
i Paesi confinanti, proprio per la massa di profughi che produce un conflitto. In
questo caso la situazione è peggiorata dal fatto che ci troviamo in uno scacchiere,
come quello Mediorientale, in cui gli equilibri sono già molto precari…
R.
– E’ grave soprattutto per un Paese povero come la Giordania, che è anche una monarchia
assai fragile, con un delicatissimo equilibrio interno e con un re che sta cercando
in tutti i modi di evitare la sua “Primavera Araba”. Se su un Paese come questo si
abbatte una massa di profughi che vanno in qualche modo accolti e si verificano incidenti,
il re ha un lavoro ancora più difficile da svolgere.
D. – Dobbiamo ricordare
anche che la Giordania ha un ruolo di stabilizzazione importantissimo in Medio Oriente…
R.
– Sì, perché è un Paese molto tradizionale, la sua dinastia è molto antica, assieme
a quella dell’Arabia Saudita ed è di conseguenza un elemento di stabilità e come tutti
gli elementi di stabilità ha una sua fondamentale gracilità.
D. – Anche in
Libano la situazione è davvero drammatica, si parla di decine di migliaia di persone
che stanno arrivando oltre confine proprio dalla Siria…
R. – Il Libano incredibilmente
è abituato da decenni ad arrivi e partenze traumatici e caotici, è più attrezzato,
è un Paese composto e complesso. La Giordania è, invece, un Paese un po’ più semplice,
meno preparato a questi eventi. Gli unici grandi eventi di profughi sono stati quelli
palestinesi - o nel ’48 o nel ’67 - ed in parte quegli iracheni, ma questa è un’ondata
che il re, in una fase assai delicata della sua transizione, non può permettersi facilmente.
D.
– Rispetto al Libano è anche un Paese molto più povero…
R. – Molto più povero!
I libanesi trafficano ad ogni livello; anche i giordani trafficano, ma evidentemente
con minori proventi.