Siria: oltre 100 morti negli scontri, in gran parte civili: Usa e Russia: Assad non
usi armi chimiche
Divampa la guerra in Siria: oltre 100 i morti negli scontri di ieri. Nuovi bombardamenti
a Damasco mentre si combatte ad Aleppo. E la gente continua a fuggire. Il servizio
di Sergio Centofanti.
Si continua
a morire in Siria. Oltre la metà delle vittime di ieri sono civili: in migliaia lasciano
il Paese. La Turchia ha chiuso i valichi al confine ma consente il passaggio dei profughi.
L’'artiglieria di Assad sta bombardando senza tregua i quartieri meridionali di Damasco
dove sono asserragliati gruppi di ribelli. Aleppo è sotto assedio. I governativi sparano
anche dagli elicotteri. Ma i militari del regime continuano a disertare: sono fuggiti
altri due generali – il totale ora è a quota 27 – e altri due ambasciatori, quelli
di Cipro e degli Emirati Arabi, hanno lasciato gli incarichi e si sono rifugiati in
altri Paesi. E le carceri siriane continuano a riempirsi: secondo l'ex direttore della
polizia, passato con i ribelli, nelle prigioni ci sarebbero 200mila persone. Intanto
Stati Uniti e Mosca si lanciano nuove accuse, ma entrambe ammoniscono Damasco a non
usare le armi chimiche: contro questo rischio l'Arabia Saudita sta lavorando ad una
risoluzione da proporre all'Assemblea Generale dell’Onu. La Russia, da parte sua,
si è detta pronta a far partire un dialogo tra regime e insorti. Il ministro italiano
degli Esteri, Giulio Terzi, infine, guarda al regime siriano che sta cadendo a pezzi
e invita a lavorare per un governo di transizione: Assad – afferma - deve andare via
e presto, se non vuole fare la fine di Gheddafi. Al Qaeda ha rivendicato gli attentati
che in questi ultimi giorni hanno insanguinato l’Iraq provocando più di 100 morti.
Una recrudescenza che preoccupa la comunità internazionale anche per le violenze che
stanno sconvolgendo la Siria. Ma esiste un legame tra quanto sta accadendo nei due
Paesi? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Stefano Torelli, membro
del Comitato Italiano per l’Islam politico:
R. - Tenderei
a sottolineare come l’Iraq, dal ritiro statunitense del dicembre 2011 ad oggi, in
realtà è sempre stato, ed è ancora purtroppo, un Paese molto instabile. È chiaro che
si può ipotizzare anche un qualche collegamento tra il deteriorarsi della situazione
interna in Siria, e quella in Iraq, soprattutto perché da anni la questione della
sicurezza e del terrorismo in Iraq è stata collegata anche alla Siria. Gli Stati Uniti
e molti altri Paesi dell’area hanno accusato la Siria del fatto che fosse un punto
di transito per alcuni terroristi che andavano poi a compiere i loro attentati in
Iraq. E quindi insomma, in qualche modo, il regime siriano aveva una parte di responsabilità
in quello che accadeva in Iraq. Ora, si potrebbe ipotizzare una sorta di nuova correlazione
tra l’Iraq e la Siria, nel senso che il terrorismo di matrice qaedista potrebbe sfruttare
in questo momento la situazione di instabilità in Siria per creare maggiori tensioni
anche in Iraq e far ricadere il Paese in una spirale di violenza e destabilizzazione,
funzionale solo agli scopi delle organizzazioni terroristiche.
D. - Siamo in
pieno Ramadan. Questo che cosa significa?
R. - Non è la prima volta che episodi
di terrorismo avvengono in concomitanza di festività o di celebrazioni particolari.
Detto ciò si tratta di una scia di attentati che risale a molto prima. Tra l’altro,
molti obiettivi di quest’ultima ondata di attentati sono stati obiettivi sciiti.
D.
- Quanto, secondo lei, le divisioni tra sciiti e sunniti stanno pesando in Iraq e
in Siria? R. - Ecco, quello è un fattore che continua a influenzare, soprattutto
in Iraq piuttosto che in Siria, perché l’ultimo governo di Al Maliki a maggioranza
sciita in Iraq ha un po’ esacerbato i toni dello scontro interno tra sunniti e sciiti.
L’Iraq ancora oggi è un terreno di competizione tra due poli quello sciita e sunnita,
cioè rispettivamente Iran e Arabia Saudita in testa. In Siria, a mio avviso, non siamo
di fronte a una vera e propria guerra settaria; vi è chiaramente il regime che ha
una forte base di consenso e di appartenenza soprattutto alla minoranza alawita, che
ricordiamo, sono sì degli sciiti ma non possono neanche essere considerati degli sciiti
ortodossi, se così possiamo dire. Vi è sicuramente un confronto interno che ormai
ha assunto i toni di una vera e propria guerra civile tra il regime e le opposizioni.