Siria: "L'Occidente favorisca il dialogo fra le parti", così i vescovi cattolici del
Paese. Ancora scontri ad Aleppo
E’ ad Aleppo, seconda città della Siria, che si concentra anche oggi il conflitto
in corso nel Paese. Gli scontri tra truppe governative e ribelli da ieri sono proseguiti
durante la notte e nella giornata di oggi. Ma anche a Damasco gli elicotteri d'assalto
hanno fatto la loro ricomparsa. E si susseguono le voci di un'uscita di Assad dal
Paese. Secondo il premier turco Erdogan il presidente siriano e il suo entourage starebbero
per andare via dalla Siria, forse in Turchia. Anche il segretario generale della Lega
Araba, Nabil Elaraby ha detto che Assad non potra' restare per lungo tempo. Un
appello per una via d’uscita pacifica alla crisi è venuto oggi dall’arcivescovo cattolico
greco-melkita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart, a conclusione di un breve
vertice con gli altri vescovi cattolici tenutosi oggi nel suo arcivescovado. Un nuovo
incontro con tutti i vescovi e i capi di tutte le confessioni cristiane si terrà
sabato prossimo. Ascoltiamo dunque le parole di mons. Jeanbart raccolte dalla collega
francese, Manuella Affejee.
R. – Ce que
nous demandons, si l’Occident, si les chrétiens en Occident, si les … Quello che
noi chiediamo, se l’Occidente, i cristiani d’Occidente, se i Paesi di buona volontà
vogliono aiutarci, è che essi spingano per il dialogo e per l’intesa, per arrivare
ad un compromesso; in altri termini, che sostengano la missione Annan con tutte le
loro forze, che tentino di fare in modo che gli scontri e i conflitti finiscano e
al contempo non incoraggino e non stimolino la violenza e l’odio, quanto piuttosto
tentino di richiamare alla calma e alla ragione. Ecco, questo soprattutto: credo che
i Paesi europei, la Nato, gli altri Paesi arabi collegati possano ottenere questo
facilmente. Come la Russia, dall’altro canto, anche altri Paesi possono fare pressione
sul governo siriano affinché faccia qualcosa in questo senso. Ma ciò non potrà accadere
se non ci sarà un cessate-il-fuoco con la sospensione delle violenze da tutte e due
le parti.
E a preoccupare in Siria è anche l’emergenza umanitaria, migliaia
le persone in fuga. Al microfono di Benedetta Capelli,Laura Boldrini,
portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, fa il punto della situazione:
R. – E’ difficile
avere una fotografia precisa di quanti siriani siano fuggiti dal loro Paese e questo
perché non tutti si registrano con l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati. Le stime che noi abbiamo, quindi, non comprendono tutte le
persone in fuga. A noi risulta che siano circa 150 mila le persone fuori dalla Siria,
ma a questi vanno ad aggiungersi un milione e mezzo di sfollati interni, le persone
cioè costrette a lasciare le proprie case, ma che non hanno attraversato la frontiera:
si sono quindi spostati da una città all’altra all’interno della Siria.
D.
– Giordania, Libano, Iraq e Turchia sono i Paesi che stanno accogliendo i profughi
e, tra l’altro, nei giorni scorsi la Turchia ha chiuso le frontiere ma ha aperto dei
corridoi per i profughi. E’ un segnale, anche questo, importante e di sensibilità…
R.
– A oggi dobbiamo dire sì e noi siamo molto grati ai Paesi confinanti perché hanno
tutti tenuto le frontiere aperte. Per quanto riguarda la Turchia, abbiamo avuto ampie
rassicurazioni che si tratta di una chiusura per i mezzi commerciali. Devo inoltre
ricordare che c’è una situazione ancora più critica, quella che riguarda i rifugiati
iracheni che vivevano in Siria. Oggi, gli stessi iracheni stanno ritornando nel loro
Paese di origine, ne sono già rientrati almeno 10 mila. A Damasco, poi, c’è ora una
situazione in cui anche civili fuggiti da altre città – tipo Homs – e approdati nella
capitale, dopo i bombardamenti sono dovuti scappare di nuovo. Ci sono decine di scuole
che sono state allestite come dormitori, così come nei parchi pubblici sono stati
messi degli alloggi di fortuna. In Turchia, invece, l’accoglienza è più nei campi:
ce ne sono oltre 10 allestiti dalle attività turche. La situazione è quindi più gestita
a livello centrale, ma in altri Paesi – come la Giordania, il Libano – è tutto molto
più diffuso e sulle spalle anche dei privati, degli amici e dei parenti di queste
persone.
D. – Nei giorni scorsi, l’Unione Europea ha stanziato 20 milioni
di euro per i profughi siriani: ma quali sono i bisogni e soprattutto come è possibile
aiutare?
R. – Dobbiamo dire che siamo preoccupati anche per la situazione economica
e finanziaria: all’appello che abbiamo fatto di 192 milioni di dollari, solo il 26
per cento dei fondi sono stati stanziati. Una cifra veramente bassissima, che non
consente di mantenere neanche il livello di assistenza che in certi casi è totale:
dai viveri all’alloggio, all’acqua, alle cure mediche. In alcuni casi, c’è solo l’assistenza
umanitaria fornita dalle agenzie internazionali: se manca questo per la gente è difficile
farcela. Quello che stupisce è che, data la gravità della situazione e il fatto che
non si trovi una via per sbloccarla – e va sbloccata a livello politico – neanche
a livello umanitario c’è una risposta capace di sopperire almeno ai bisogni primari.