Siria. Bombe su Damasco, si combatte ad Aleppo. Al Qaeda rivendica gli attentati in
Iraq
Al Qaeda ha rivendicato gli attentati che in questi ultimi giorni hanno insanguinato
l’Iraq provocando più di 100 morti. Una recrudescenza che preoccupa la comunità internazionale
anche per le violenze che stanno sconvolgendo la vicina Siria: in questo Paese ora
è Aleppo il fronte più caldo, bombe si registrano pure su Homs e Idlib, combattimenti
a Damasco dove l’esercito di Assad avrebbe ripreso il controllo della città. Pesanti
le accuse della Russia agli Stati Uniti, che secondo Mosca starebbero giustificando
il terrorismo, sostenendo l’opposizione armata. E mentre si registrano nuove defezioni
tra l’esercito di Assad, la Turchia ha chiuso le frontiere con la Siria ma resta aperto
un passaggio per i profughi. Il numero dei rifugiati è cresciuto negli ultimi giorni:
secondo l’Unhcr sono oltre 120mila quelli registrati in Giordania, Libano, Iraq e
Turchia. Ma esiste un legame tra le violenze in Iraq e in Siria? Al microfono di Benedetta
Capelli risponde Stefano Torelli, membro del Comitato Italiano per l’Islam
politico:
R. - Tenderei
a sottolineare come l’Iraq, dal ritiro statunitense del dicembre 2011 ad oggi, in
realtà è sempre stato, ed è ancora purtroppo, un Paese molto instabile. È chiaro che
si può ipotizzare anche un qualche collegamento tra il deteriorarsi della situazione
interna in Siria, e quella in Iraq, soprattutto perché da anni la questione della
sicurezza e del terrorismo in Iraq è stata collegata anche alla Siria. Gli Stati Uniti
e molti altri Paesi dell’area hanno accusato la Siria del fatto che fosse un punto
di transito per alcuni terroristi che andavano poi a compiere i loro attentati in
Iraq. E quindi insomma, in qualche modo, il regime siriano aveva una parte di responsabilità
in quello che accadeva in Iraq. Ora, si potrebbe ipotizzare una sorta di nuova correlazione
tra l’Iraq e la Siria, nel senso che il terrorismo di matrice qaedista potrebbe sfruttare
in questo momento la situazione di instabilità in Siria per creare maggiori tensioni
anche in Iraq e far ricadere il Paese in una spirale di violenza e destabilizzazione,
funzionale solo agli scopi delle organizzazioni terroristiche.
D. - Siamo in
pieno Ramadan. Questo che cosa significa?
R. - Non è la prima volta che episodi
di terrorismo avvengono in concomitanza di festività o di celebrazioni particolari.
Detto ciò si tratta di una scia di attentati che risale a molto prima. Tra l’altro,
molti obiettivi di quest’ultima ondata di attentati sono stati obiettivi sciiti.
D.
- Quanto, secondo lei, le divisioni tra sciiti e sunniti stanno pesando in Iraq e
in Siria?
R. - Ecco, quello è un fattore che continua a influenzare, soprattutto
in Iraq piuttosto che in Siria, perché l’ultimo governo di Al Maliki a maggioranza
sciita in Iraq ha un po’ esacerbato i toni dello scontro interno tra sunniti e sciiti.
L’Iraq ancora oggi è un terreno di competizione tra due poli quello sciita e sunnita,
cioè rispettivamente Iran e Arabia Saudita in testa. In Siria, a mio avviso, non siamo
di fronte a una vera e propria guerra settaria; vi è chiaramente il regime che ha
una forte base di consenso e di appartenenza soprattutto alla minoranza alawita, che
ricordiamo, sono sì degli sciiti ma non possono neanche essere considerati degli sciiti
ortodossi, se così possiamo dire. Vi è sicuramente un confronto interno che ormai
ha assunto i toni di una vera e propria guerra civile tra il regime e le opposizioni.