Mons. Nosiglia guida 50 giovani torinesi in pellegrinaggio in Terra Santa
“Noi giovani sui passi di Gesù”: con questo motto, cinquanta ragazzi dell’arcidiocesi
di Torino sono partiti oggi per la Terra Santa, dove resteranno in pellegrinaggio
fino al primo agosto. Promossa dall’Ufficio giovani della Curia di Torino, l’iniziativa
è guidata dall’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. Ma cosa spinge un ragazzo
ad andare in pellegrinaggio in Terra Santa? Isabella Piro lo ha chiesto ad
uno dei giovani partecipanti, Vicenzo Camarda:
R. - Negli studi
che ho fatto e nella tesi di approfondimento finale, sentivo spesso dire da Montale
che i luoghi parlano delle persone, e non sono solo le persone a parlare dei luoghi.
Allora mi son detto perché non ripercorrere dei posti che parlano di persone e riattualizzarli
in un mondo in cui, come cooperatore di diverse realtà educative presso le diocesi
di Torino, mi sono accorto che i giovani ci chiedono con forza di raccontare un'esperienza
che ci ha cambiato dentro, e non semplicemente raccontare una storia.
D. -
Assieme a te ci saranno anche le tue sorelle, Eleonora ed Alessandra. Cosa significa
vivere questo pellegrinaggio in famiglia?
R. - Io credo che sia proprio la
sintesi massima dell’esperienza di famiglia, intesa non semplicemente come gruppo
di persone, ma come entità, come posto nel quale nasce la fede. Per me, avere davvero
l’onore di poter vivere con le mie sorelle questa cosa è la sintesi di una famiglia
E sento che è la sintesi della positività e del vivere dei valori che in questo caso
si chiamano “fratellanza”.
D. - Nella tua vita quotidiana, cosa significa essere
sui passi di Gesù?
R. - Credo ci sia una dimensione di fondo che è quella della
testimonianza, per percorrere insieme un percorso che avvicina le persone. Da due
anni, collaboro con una delle realtà educative più difficili di Torino, perché sono
nella zona della Falchera. E lì è stato l’incontro con le persone, ma soprattutto
con la loro umanità che sta alimentando un senso educativo di dono all’altro, di presenza
e di ascolto, di vivificazione di quello che è l’essere in mezzo agli altri, più che
lo stare semplicemente. E che mi ha fatto dire davvero: “Ama e dillo con la vita”,
proprio come diceva Sant’Agostino.
D. - Come rispondere a chi dice che stai
sacrificando le tue vacanze estive?
R. - Per me, non è una dimensione di sacrificio
fare un pellegrinaggio. Dico sempre che esistono dei sacrifici buoni verso l’altro,
perché è un’esperienza davvero di gioia che può sembrare un andare contro corrente
rispetto a quella che è la quotidianità del giovane medio. Cedo però che oggi sia
proprio la normalità ad andare più contro corrente rispetto a quella che è la anormalità.
C’è un senso di familiarità più ampio con la comunità che mi fa stare bene e che mi
fa vivere il cristianesimo non come un qualcosa da libro stampato, ma come un qualcosa
della vita che prende volti, gambe e voglia di camminare insieme.
D. - Come
pensi di tornare cambiato dalla Terra Santa?
R. - Penso di tornare soprattutto
con la gioia di dire agli altri quello che vivo nel cuore. Io spesso e volentieri,
quando accompagno i ragazzi a fare le escursioni in giro, quasi li obbligo a non portare
con sé le macchine fotografiche, perché le loro migliori macchine fotografiche sono
i loro occhi, e dico loro: “Fotografate con gli occhi ed imprimete quello che vedete
nel cuore”. Ciò vi aiuterà nella vita a ripercorrerlo quando servirà per poterlo raccontare
agli altri giovani che con me, per diversi motivi, non hanno potuto condividere questa
esperienza.
D. - Cosa vuoi dire quindi a coloro che non sono venuti con te?
R.
- Sicuramente, vengono con me nella dimensione più bella, che è quella di comunità
nella preghiera. Quindi ci sarà una vicinanza per tutto ciò che è la vita interiore,
che i giovani, come me, spero coltivino. Poi, chiedo che anche loro possano aver la
possibilità di portare agli altri quello che sono e la bellezza che hanno.