Vittime di una «pianificazione organizzata e sistematica»: sarebbero in aumento —
secondo quanto denunciato recentemente presso la Commissione su sicurezza e cooperazione
in Europa del Congresso degli Stati Uniti, conosciuta anche come Commissione Helsinki
— i casi di donne cristiane in Egitto costrette a sposarsi e a convertirsi all’islam,
dopo essere state rapite e aver subito violenze psicologiche e fisiche. La Commissione
ha tenuto un’audizione, raccogliendo una serie di testimonianze sul fenomeno che,
secondo quanto emerso in un rapporto illustrato per l’occasione, si sarebbe particolarmente
aggravato dalla caduta del presidente Hosni Mubarak, deposto l’11 febbraio dopo una
serie di proteste iniziate il 25 gennaio 2012. Nel rapporto, dal titolo «Tell
My Mother I miss Her» — commissionato dalla Christian Solidarity International, un’organizzazione
per la promozione dei diritti e la dignità dell’uomo e per la libertà religiosa, con
base principale in Svizzera — si sottolinea che «le giovani e le donne copte sono
ingannevolmente attirate o rapite per diventare spose di uomini musulmani e costrette
così a rinunciare alla propria fede e a convertirsi alla religione musulmana». Questi
rapimenti di donne non fanno notizia e le vittime permangono per anni, nel totale
disinteresse, in situazioni di pesanti umiliazioni e violenze. In base alle fonti
del rapporto, inoltre, gli autori dei rapimenti perseguono «una pianificazione organizzata
e sistematica», scegliendo le vittime tra le «comunità meno sviluppate» dove più forte
è il disagio sociale. Per le giovani e le donne convertite all’islam, una volta eventualmente
liberatesi, tornare alla propria religione diventa impossibile. L’ufficio egiziano
per lo stato civile, che emette le carte di identità, nega loro infatti il rilascio
di un nuovo documento con l’indicazione di fede cristiana, perché non più modificabile
in quanto l’islam vieta la conversione di qualunque musulmano ad altre religioni.
Sebbene, in base sempre al rapporto, non sia ancora quantificabile ufficialmente il
numero dei rapimenti e conversioni forzate, il fenomeno appare in aumento da alcuni
mesi, con una stima di circa un migliaio di giovani e donne che, negli ultimi anni,
avrebbero chiesto di riacquisire la propria identità cristiana. Per il presidente
della Commissione Helsinki, Chris Smith, «la fase di transizione in Egitto resta aperta
e l’ordine appare appeso a un filo». In questo difficile contesto, Katrina Lantos
Sweett, che dirige la Commissione sulla libertà religiosa internazionale del Governo
degli Stati Uniti, ha posto all’attenzione le preoccupazioni inerenti lo stato delle
minoranze. «Nonostante alcuni promettenti sviluppi — ha osservato la rappresentante
del Governo statunitense — i copti e le altre minoranze continuano a non essere sufficientemente
protetti». A tale riguardo la responsabile della Commissione ha raccomandato che gli
Stati Uniti «compiano una forte azione a sostegno della libertà religiosa», lavorando
per sollecitare le autorità egiziane a «includere» robuste protezioni nella Costituzione
per consentire alle minoranze di vivere appieno la propria fede e per favorire la
giustizia contro gli autori dei crimini. Già nel 1976, il patriarca della Chiesa copta
ortodossa, Shenouda III denunciò la pratica dei rapimenti delle donne. Shenouda, morto
il 17 marzo scorso, venne eletto centodiciassettesimo patriarca della Chiesa copta
ortodossa nel novembre 1971, in rappresentanza dei cristiani egiziani che costituiscono
il 10 per cento di una popolazione di 80 milioni di persone. (L’Osservatore Romano)