20 anni di culle per la vita. Carlo Casini: la vita non si può gettare in un cassonetto
I non rari casi di neonati abbandonati o ritrovati nei cassonetti costituiscono solo
la punta dell’iceberg di un fenomeno drammatico di disprezzo per la vita, di disperazione
e spesso di solitudine. “Una risposta a questo dramma potrà venire solo da un’inversione
di tendenza culturale” secondo il Movimento per la Vita, che quest’anno celebra i
20 anni dall’istituzione della prima “Culla per la vita”, moderna riedizione delle
ruote degli esposti. Oggi le culle sono in tutto 42. Ma cosa sono? Paolo Ondarza
lo ha chiesto a Carlo Casini presidente del Movimento per la Vita:
R. – Sono prima
di tutto un luogo in cui una donna in condizioni di angoscia, disperata, può lasciare
il suo bambino, affidandolo a braccia che lo possano accogliere e volerle bene al
posto suo; ma sono anche un monumento alla vita perché ricordano a tutti, con la loro
stessa silenziosa presenza, che la vita non si può buttare in un cassonetto delle
immondizie. Questo accadde la prima volta, vent’anni fa, noi ce ne accorgemmo e istituimmo
la prima culla della vita: Francesco – grazie a Dio è vivo – fu lasciato appena nato
in un cassonetto dell’immondizia. All’inizio ci furono perfino vicende giudiziarie
contro di noi perché dicevano: voi istigate all’abbandono. Non è un’istigazione all’abbandono
ma è un’esortazione all’accoglienza.
D. - Ancora oggi occorre un’inversione
culturale contro la cultura della morte che sotterraneamente è molto forte…
R.
– E’ fortissima purtroppo e la si combatte solo rivolgendo lo sguardo al bambino.
La cultura della morte non è una cultura che ama il sangue ma è una cultura che non
vuol guardare, non vuole riconoscere il figlio, il bambino non ancora nato - se si
vuole, anche il morente, il sofferente - e rivolge lo sguardo altrove.
D. –
A vent’anni dalla prima culla per la vita ancora oggi le cronache ci riportano casi
di neonati ritrovati morti nei cassonetti, segno che occorre sempre più rafforzare
una presenza amichevole a fianco della madre in difficoltà oltre che rafforzare una
cultura della vita, come diceva prima…
R. – Non ci sono dubbi. Oltre a quantosuccesso recentemente a Bologna, quanti altri casi esistono! Dicevano che l’aborto
legale avrebbe ridotto il numero degli abbandoni e viceversa sembrano addirittura
in aumento. Non bisogna trascurare niente per ricostruire la cultura della vita. La
difesa della vita è prima di tutto nella mente e nel cuore della madre ma la madre
a sua volta ha nella mente e nel cuore ciò che sente intorno a sé, nella società,
nella famiglia, nella scuola, sul luogo del lavoro, alla televisione, sui giornali:
lo Stato nel suo complesso costituisce il suo ambiente. E’ qui che va ricostruita
la cultura della vita: a partire dal coraggio della madre … grazie a Dio le madri
coraggiose che accettano le difficoltà della vita pur di accogliere il figlio, sono
più numerose di quelle disperate che lo rifiutano. La cultura della vita si fonda
sull’esempio di queste madri coraggiose.