Il "Premio Ratzinger" consegnato a due teologi al Sinodo di ottobre. Mons. Ladaria:
ricerca e fedeltà alla Chiesa
Il “Premio Ratzinger”, l’onorificenza che ogni anno la Fondazione vaticana che porta
il nome del Papa consegna a insigni teologi, quest’anno verrà consegnato ai vincitori
il 20 ottobre, durante i lavori del prossimo Sinodo. Uno dei membri del Comitato scientifico
del Premio, l’arcivescovo Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione
per la Dottrina della Fede, spiega le finalità del Premio al microfono di Alessandro
De Carolis:
R. – Il "Premio
Ratzinger" è stato istituito dalla Fondazione Joseph Ratzinger, una Fondazione vaticana,
per stimolare la riflessione teologica soprattutto – non esclusivamente, ma soprattutto
– nei campi più coltivati da Joseph Ratzinger, come teologo, cardinale e ora Papa:
il campo della teologia fondamentale, della storia della teologia, specialmente teologia
patristica, il campo dell’esegesi biblica, ma anche la teologica dogmatica. Si tratta
dunque di premiare quei teologi e stimolare anche la riflessione teologica su questi
campi in una linea di comunione con la Chiesa, in una linea teologica di approfondimenti
dei grandi documenti magistrali, come il Concilio Vaticano II. Una teologia che sia
quindi di aiuto per la Chiesa nel mondo presente, tenendo sempre un contatto con la
cultura, l’ambiente e il mondo che ci circonda, al quale va evidentemente la nostra
proclamazione.
D. – Che tipo di lavoro svolge il Comitato scientifico nel
selezionare i candidati?
R. – Il Comitato scientifico cerca di tener presente
diversi fattori: prima di tutto, il rigore teologico e la profondità scientifica dei
possibili candidati. Si cerca di avere anche una varietà di lingue, di culture, cosicché
non tutti i premi vadano per esempio a teologi di lingua inglese, o che tutti siano
di lingua italiana. Che ci sia quindi un equilibrio fra le grandi lingue del mondo,
fra i grandi gruppi cattolici del mondo, in modo che – nella misura del possibile,
anche se non è sempre facile questo – tutti si possano sentire rappresentati. L’anno
scorso ci fu un italiano, uno spagnolo e un tedesco. Quest’anno sarà un francese e
un nordamericano. Ma sempre tenendo presente, evidentemente, che la prima condizione
– sine qua non – è la qualità di questi teologi.
D. – Benedetto XVI
non perde mai occasione per richiamare i teologi a vivere per primi la realtà che
studiano. Quale panorama vede oggi nel mondo dal punto di vista degli studi teologici?
R.
– Io credo che possiamo guardare il futuro con fiducia. Credo che il Papa sia per
tutti i teologi, per tutti gli studiosi, un grande stimolo come di una persona che,
fin dal primo momento del suo studio teologico, come professore e come teologo, ha
sempre combinato l’accuratezza e l’acume scientifico con una profonda fedeltà alla
Chiesa, la profonda fedeltà al Signore, che nasce evidentemente da un contatto vivo
col Signore nella preghiera. Qualche volta è stato detto che la teologia si fa in
ginocchio: è una verità molto grande. Soltanto le cose che sono state assimilate veramente
e anche spiritualmente possono essere trasmesse in modo fruttuoso. Altrimenti, la
teologia diventerebbe una “gnosi”: una conoscenza che non ha una ripercussione nella
vita e questo sarebbe veramente un grave danno per la teologia e per tutta la Chiesa.