A vent'anni dall'uccisione del giudice Borsellino, il ricordo di Antonio Ingroia e
di Don Rattoballi
Il 19 luglio di venti anni fa, un’autobomba esplose in via d’Amelio, a Palermo, uccidendo
il giudice antimafia Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta. Un attentato che
seguì quello di Capaci, 57 giorni prima, nel quale venne ucciso il magistrato Giovanni
Falcone insieme alla moglie e a tre uomini della sicurezza. Sono ancora molte le ombre
che aleggiano sull’inchiesta di via d’Amelio e tante le iniziative per l’anniversario
di un “eroe moderno della nostra democrazia”: così l’ha definito il giudice Antonio
Ingroia, suo stretto collaboratore fin dal 1987. Benedetta Capelli lo ha
intervistato:
R. – Ha interpretato,
credo nel migliore dei modi, un esempio di vita, che significa essere appunto cittadino
moderno di una democrazia, che significa avere ideali etico-morali e saperli tradurre
in azione quotidiana.
D. – 57 giorni dopo la morte di Falcone, la corsa di
Borsellino fu quasi forsennata verso la verità. Lei che idea si è fatto di questa
verità? Oggi a che punto siamo?
R. – Diciamo che siamo arrivati ad un punto
in cui si è svelata in parte, in altre parti rimane occulta ed è rimasta occulta per
troppo tempo e troppo a lungo. Si è dimostrata una strada molto impervia, difficile,
tortuosa con qualche tranello lungo il percorso, che però con una certa ostinazione
e tenacia, ad imitazione della tenacia che aveva dimostrato Borsellino e di tanti
altri uomini dello Stato, magistrati, investigatori, che si sono impegnati in questi
anni in diversi uffici giudiziari e in diverse procure, ha consentito di farne venire
fuori, ogni anno, un pezzo in più. Gli ultimi anni, soprattutto, è emerso tanto, è
emerso molto, è emersa soprattutto la conferma che Paolo Borsellino rimase vittima
della mafia, ma anche vittima forse delle colpe di uno Stato che non lo accompagnò
fino in fondo, non lo protesse, non lo sostenne.
D. – Borsellino fu per lei
un maestro nella sua carriera di magistrato. Umanamente che cosa le ha dato e qual
è la sua eredità, che poi si porta nel lavoro e nella vita?
R. – Una ricchezza
enorme di valori morali e un bagaglio professionale altrettanto enorme. Credo che
debba essere guardato come un modello per tutti i cittadini e non solo per i magistrati.
Doti e qualità come la dirittura morale, l’intransigenza etica, ma anche la generosità
d’animo e l’umiltà nella grandezza, credo che siano doti rare nell’Italia di oggi,
che quest’uomo aveva al massimo potenziale e che costituiscono un tesoro, a volte
un po’ dimenticato e a volte sepolto nella coscienza civile del Paese, che va disseppellito,
portato alla luce, messo a frutto.
D. – Pensando a questo magistrato, cosa
le viene in mente, qual è l’immagine che più porta nel cuore?
R. – Paolo Borsellino
in un momento libero, la sera, in qualche ristorante a Marsala, agli inizi della mia
carriera, quando lui era procuratore, brindando con un buon bicchiere di vino e ricordando
i momenti di Palermo, del maxi processo, momenti anche esaltanti e importanti vissuti
con Giovanni Falcone; o il Paolo Borsellino, invece, schiacciato dal dolore profondo
della morte, della perdita dell’amico Falcone, con le spalle appoggiate contro le
pareti del Pronto Soccorso, dell’ospedale civico di Palermo, dove lo incontrai pochi
minuti dopo che Falcone gli era morto tra le braccia; poi, il Paolo Borsellino di
grande umiltà e grandezza, che quando apprese la notizia di una minaccia, che riguardava
anche me oltre che lui - era il 1990, il momento in cui mi venne assegnata la prima
scorta blindata – la sua prima considerazione fu di amarezza per non avere svolto
abbastanza bene il suo ruolo di capoufficio, perché diceva che un capoufficio deve
essere soprattutto uno scudo dei propri sostituti, dei propri collaboratori e “se
hanno minacciato te oltre che minacciare me significa che non sono stato abbastanza
scudo nei tuoi confronti”. Questa generosità e nobiltà d’animo è Paolo Borsellino.
Speriamo che soprattutto nelle giovani generazioni si sappia trarre alimento da questa
grande lezione, soprattutto etico-morale, più ancora che professionale, che Paolo
Borsellino ha lasciato a tutti noi.
Tante le iniziative in programma per oggi
mentre ieri a Palermo un lungo corteo dell’Agesci ha attraversato la città, concludendo
il percorso nella Chiesa di San Domenico, dove era presente la famiglia. Anima dell’iniziativa
don Cesare Rattoballi, molto vicino a Borsellino nell’ultimo periodo della sua vita: