Perù. Attivisti contro la multinazionale che vuole l'oro di "Conga": a rischio l'ambiente
E' una miniera il luogo della discordia e delle violenze che da qualche tempo avvengono
in Perù. Da una parte, c'è l'azienda "Newmont Mining" che intende sfruttare il giacimento
di oro della miniera "Conga", dall'altra gli attivisti che ne osteggiano l'apertura
sostenendo che essa danneggerebbe gravemente i bacini d'cqua circostanti. A far da
mediatrice nella vicenda, che ha giù fatto alcuni morti e numerosi feriti, è la Chiesa
locale. Padre Guillermo Ortiz, responsabile dei programmi in lingua spagnola
della nostra emittente, ne parla al microfono di Silvia Koch:
R. – Questo
problema è presente anche in altri Paesi oltre al Perù – in Bolivia, in Colombia,
in Argentina – che hanno queste risorse minerarie. In Bolivia, per esempio, dove c’è
violenza, gli agricoltori, i lavoratori delle miniere, per esempio a Malcucota, a
300 km da La Paz, hanno avuto questi problemi.
D. – Un problema quindi di contrapposizione
tra gli interessi delle multinazionali, che vogliono sfruttare le risorse locali,
quelli dei governi locali e delle popolazioni...
R. – Sì, in genere questi
Paesi non hanno i macchinari per estrarre i minerali, così arrivano alcune ditte dal
Canada, dagli Stati Uniti... E' accaduto con la gente del posto anche in Paraguay,
dove ci sono stati morti per questo conflitto, nella riserva forestale: sette poliziotti
e undici contadini.
D. – Quali sono le strade indicate dai vescovi locali per
cercare di raggiungere una pacificazione nei conflitti?
R. – Noi abbiamo un
Consiglio episcopale per tutta l’America Latina, che è il Celam, e questo ora sta
lavorando per aiutare la gente nella mediazione di questi conflitti.
D. – Naturalmente,
forse, perché i sacerdoti hanno un canale privilegiato di dialogo con le popolazioni
locali e sono vicini alle esigenze locali...
D. – Certamente, la Chiesa è
lì. Il nostro documento di Aparecida già parla di questo, perché non è un problema
di oggi e i conflitti sono presenti da tempo. Al numero 473, il documento di Aparecida
dice che la ricchezza naturale dell’America Latina e dei Caraibi sperimenta oggi uno
sfruttamento irrazionale, che sta lasciando dietro di sé una scia di distruzione e
perfino di morte in tutte le nostre regioni. L’enorme responsabilità di questo processo
pesa sull’attuale modello di sviluppo economico, che privilegia uno smisurato desiderio
di ricchezza, non curandosi della vita delle persone e dei popoli né del rispetto
razionale della natura. La devastazione – dicono – delle nostre foreste e della biodiversità,
a causa di un atteggiamento predatorio ed egoista, coinvolge la responsabilità morale
di chi la promuove, perché mette in pericolo la vita di milioni di persone, specialmente
dell’habitat dei contadini e degli indigeni, che vengono spinti verso terre di bassa
qualità o nelle grandi città, dove vanno a vivere ammucchiati in miserevoli periferie.
La nostra regione, parlando di tutta l’America Latina e dei Caraibi, ha bisogno di
progredire nel proprio sviluppo agroindustriale, per valorizzare le ricchezze delle
sue terre e le sue risorse umane, a servizio del bene comune.