Medici Senza Frontiere: allarme mine antiuomo nello Yemen
Un appello alle autorità yemenite e alle organizzazioni specializzate è stato lanciato
dall’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf), allarmata per il crescente numero
di vittime delle mine antiuomo che si sta registrando nello Yemen. Il servizio di
Francesca Sabatinelli:
Ci sono molti
bambini e molti di loro sono in pericolo di vita, tra le vittime degli ordigni inesplosi
o delle mine antiuomo piazzati nello Yemen meridionale, fino al mese scorso dilaniato
dai combattimenti tra le forze regolari e i ribelli, ritenuti legati alla rete terroristica
di al Qaeda. Le zone, liberate a giugno dalle truppe governative dopo una lunga offensiva,
sono ora disseminate di mine che si ritiene siano state lasciate dai terroristi prima
di fuggire. Centinaia di famiglie sfollate sono potute rientrate nelle loro case nelle
città meridionali di Jaar, Lawdar e Zinjibar e sono proprio loro le vittime, totalmente
ignare del pericolo che li circonda. Medici Senza Frontiere chiede aiuto alla comunità
internazionale e alle organizzazioni specializzate, affinché sostengano le autorità
nazionali e locali nelle opere di bonifica e di educazione agli abitanti in pericolo.
Claudia Lodesani è il coordinatore medico di Msf nello Yemen. L’abbiamo raggiunta
telefonicamente a Sana’a:
R. - Nel nostro ospedale, in tre settimane, abbiamo
ricevuto 21 persone di cui 12 bambini. Di questi, tre erano morti. E questo solo nel
nostro ospedale. Nell’ultimo mese, soprattutto negli ospedali di Aden, si parla di
un centinaio di persone. Calcolando che questa zona durante la guerra era praticamente
disabitata, adesso c’è tutto il ritorno degli sfollati e quindi stiamo assistendo
all’inizio del problema.
D. - Sono in atto opere di sminamento da parte di
qualcuno o di organizzazioni governative o di Ong?
R. - Io ho visitato questa
zona quattro giorni fa e ci sono gli sminatori del governo, questo è vero. Però, chiaramente,
si può immaginare come siano attrezzati: non hanno le stesse strumentazioni che possiamo
avere noi, quindi è una cosa che va molto a rilento e per ora ci sono solo loro. Diciamo
che il governo sta facendo qualcosa però è molto poco, e comunque con delle risorse
molto limitate.
D. - Voi avete denunciato questa situazione: ma cosa volete
volete sollecitare?
R. - Secondo noi, ci sono due tipi di problemi: uno, appunto,
l’aiuto nello sminamento e l’altro problema è che non ci sono campagne di sensibilizzazione
per la popolazione. Noi non abbiamo esperienza specifica in questo, non essendo medici.
Peròci sono le organizzazioni che hanno le competenze specifiche. Per ora, in questo
senso, non è stato fatto nulla. Quindi, noi stiamo iniziando a muoverci anche contattando
queste organizzazioni per proporre loro di venire, perché noi personalmente non abbiamo
esperienza. Lo facciamo, ma è un po’ difficile perché sono progetti specifici. C’è
scarsa sensibilizzazione dei bambini nelle scuole e tra gli sfollati che tornano.
Ciò che vogliamo sollecitare è, da una parte, la possibilità di coinvolgere delle
associazioni per le opere di sminamento, dall’altra sensibilizzare alla popolazione.
D.
- Voi riuscite in qualche modo ad occuparvi anche della costruzione delle protesi
necessarie soprattutto ai bambini?
R. - Noi sicuramente li prendiamo in carico
nel momento in cui avviene il fatto, quindi purtroppo siamo noi che dobbiamo gestire
le amputazioni,cioè il momento più drammatico. Abbiamo un ospedale di secondo livello
in Giordania dove possiamo inviarli per la ricostruzione. Siamo in contatto con altre
associazioni, in particolare con un’associazione locale sostenuta dalla Croce rossa
internazionale che mette a disposizione le protesi. Abbiamo una rete di contatti.
D.
- Tutto questo poi prevede chiaramente anche dei lunghi tempi di riabilitazione. Come
vi regolate?
R. - Si gestisce caso per caso. Comunque, noi abbiamo anche la
possibilità di fare fisioterapie sia nei nostri ospedali che in Giordania. Diciamo
che in questo momento, visto che tutti questi pazienti sono molto recenti, è troppo
presto per pensare alle protesi. Ci sono dei tempi d’attesa. Dipende da caso per caso.
Poi, si cerca di supportarli con degli psicologi, perché quando i bambini si trovano
un arto amputato si può facilmente immaginare come un sostegno di questo tipo sia
necessario.