2012-07-15 11:27:58

Medici Senza Frontiere: allarme mine antiuomo nello Yemen


Un appello alle autorità yemenite e alle organizzazioni specializzate è stato lanciato dall’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf), allarmata per il crescente numero di vittime delle mine antiuomo che si sta registrando nello Yemen. Il servizio di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Ci sono molti bambini e molti di loro sono in pericolo di vita, tra le vittime degli ordigni inesplosi o delle mine antiuomo piazzati nello Yemen meridionale, fino al mese scorso dilaniato dai combattimenti tra le forze regolari e i ribelli, ritenuti legati alla rete terroristica di al Qaeda. Le zone, liberate a giugno dalle truppe governative dopo una lunga offensiva, sono ora disseminate di mine che si ritiene siano state lasciate dai terroristi prima di fuggire. Centinaia di famiglie sfollate sono potute rientrate nelle loro case nelle città meridionali di Jaar, Lawdar e Zinjibar e sono proprio loro le vittime, totalmente ignare del pericolo che li circonda. Medici Senza Frontiere chiede aiuto alla comunità internazionale e alle organizzazioni specializzate, affinché sostengano le autorità nazionali e locali nelle opere di bonifica e di educazione agli abitanti in pericolo. Claudia Lodesani è il coordinatore medico di Msf nello Yemen. L’abbiamo raggiunta telefonicamente a Sana’a:

R. - Nel nostro ospedale, in tre settimane, abbiamo ricevuto 21 persone di cui 12 bambini. Di questi, tre erano morti. E questo solo nel nostro ospedale. Nell’ultimo mese, soprattutto negli ospedali di Aden, si parla di un centinaio di persone. Calcolando che questa zona durante la guerra era praticamente disabitata, adesso c’è tutto il ritorno degli sfollati e quindi stiamo assistendo all’inizio del problema.

D. - Sono in atto opere di sminamento da parte di qualcuno o di organizzazioni governative o di Ong?

R. - Io ho visitato questa zona quattro giorni fa e ci sono gli sminatori del governo, questo è vero. Però, chiaramente, si può immaginare come siano attrezzati: non hanno le stesse strumentazioni che possiamo avere noi, quindi è una cosa che va molto a rilento e per ora ci sono solo loro. Diciamo che il governo sta facendo qualcosa però è molto poco, e comunque con delle risorse molto limitate.

D. - Voi avete denunciato questa situazione: ma cosa volete volete sollecitare?

R. - Secondo noi, ci sono due tipi di problemi: uno, appunto, l’aiuto nello sminamento e l’altro problema è che non ci sono campagne di sensibilizzazione per la popolazione. Noi non abbiamo esperienza specifica in questo, non essendo medici. Peròci sono le organizzazioni che hanno le competenze specifiche. Per ora, in questo senso, non è stato fatto nulla. Quindi, noi stiamo iniziando a muoverci anche contattando queste organizzazioni per proporre loro di venire, perché noi personalmente non abbiamo esperienza. Lo facciamo, ma è un po’ difficile perché sono progetti specifici. C’è scarsa sensibilizzazione dei bambini nelle scuole e tra gli sfollati che tornano. Ciò che vogliamo sollecitare è, da una parte, la possibilità di coinvolgere delle associazioni per le opere di sminamento, dall’altra sensibilizzare alla popolazione.

D. - Voi riuscite in qualche modo ad occuparvi anche della costruzione delle protesi necessarie soprattutto ai bambini?

R. - Noi sicuramente li prendiamo in carico nel momento in cui avviene il fatto, quindi purtroppo siamo noi che dobbiamo gestire le amputazioni,cioè il momento più drammatico. Abbiamo un ospedale di secondo livello in Giordania dove possiamo inviarli per la ricostruzione. Siamo in contatto con altre associazioni, in particolare con un’associazione locale sostenuta dalla Croce rossa internazionale che mette a disposizione le protesi. Abbiamo una rete di contatti.

D. - Tutto questo poi prevede chiaramente anche dei lunghi tempi di riabilitazione. Come vi regolate?

R. - Si gestisce caso per caso. Comunque, noi abbiamo anche la possibilità di fare fisioterapie sia nei nostri ospedali che in Giordania. Diciamo che in questo momento, visto che tutti questi pazienti sono molto recenti, è troppo presto per pensare alle protesi. Ci sono dei tempi d’attesa. Dipende da caso per caso. Poi, si cerca di supportarli con degli psicologi, perché quando i bambini si trovano un arto amputato si può facilmente immaginare come un sostegno di questo tipo sia necessario.







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