Siria. Usa e Onu denunciano massacri e inerzia. Padre Dall'Oglio: il mondo protegga
i civili
Osservatori dell'Onu stanno cercando di raggiungere Tremseh, nella provincia di Hama,
dove sono stati massacrate almeno 220 persone, di cui molti civili. Il nunzio apostolico,
mons. Zenari esorta la comunità internazionale a muoversi con decisione per fermare
ulteriori e più gravi violenze. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, denuncia
lo stallo del Consiglio di sicurezza e il segretario di Stato americano, Hillary Clinton,
parla di “un regime che deliberatamente ha assassinato civili innocenti”. L'Unicef
lancia un appello per difendere i bambini. Dell’impegno possibile della comunità internazionale
e di altri aspetti della guerra civile in atto in Siria, Fausta Speranza ha
parlato con padre Paolo Dall’Oglio, gesuita che nel 1982 ha ridato vita al
Monastero di Deir Mar Musa, a nord di Damasco. Lo ha incontrato a Roma, tappa di una
missione all’estero:
R. – La situazione
siriana richiede, da parte della comunità internazionale, un’azione duplice. La prima
è la protezione delle popolazioni nella zona interessata dal conflitto civile, quella
che va dall’Oronte al mare: in questa zona occorre assolutamente cercare un accordo
con la Russia, con la Cina, con l’Iran per la protezione dei civili. La seconda azione
dovrebbe essere quella di chiedere di nuovo, e cocciutamente, ai brasiliani di rendersi
disponibili per svolgere il ruolo d’interposizione dei caschi blu. Per il resto, invece,
penso che la comunità internazionale dovrebbe esprimere una capacità di azione pacifista
– non solo pacifica e pacificamente, ma pacifista, attivamente pacifista – attraverso
la presenza di migliaia di attivisti della società civile globale, che vengano ad
assistere quella siriana nella mutazione democratica assolutamente non prorogabile.
D. – Dunque, un Consiglio di sicurezza che riesca a pronunciarsi in modo forte…
R.
– Un modo col quale si garantisca alla Russia che non si vuole far smottare la Siria
verso uno spazio geostrategico nel quale la Russia sarebbe come sconfitta sul piano,
per così dire, delle pedine di questo grande gioco di scacchi. Un grande gioco strategico
è in atto – pur essendo non buono per l’umanità – e alla fine è un fatto del quale
bisogna tener conto. Quindi, la Siria è per tanti motivi legata storicamente anche
agli interessi russi e questo deve essere considerato. In qualche modo, bisogna convincere
Iran e Arabia Saudita che la Siria non può essere monopolio di nessuno, ma deve essere
il luogo in cui sunniti e sciiti si armonizzano.
D. - Nelle ultime parole
della Clinton, è chiara la condanna del comportamento del regime: “Bombardamenti deliberati
contro i civili”…
R. – Direi che gli osservatori un minimo informati, che non
soffrono di pregiudizi ideologici, che non hanno una spessa benda sugli occhi, hanno
capito fin dall’inizio che la repressione da parte del potere siriano non ha avuto
alcuno scrupolo a colpire civili inermi. Questa non è una novità. Questo è cominciato,
sin dall’inizio, ed è più di un anno che si va avanti cosi.
D. – In questa
che ormai è drammaticamente da definire guerra civile, qual è la situazione dei cristiani?
R.
– Sicuramente, i gruppi estremisti salafiti pongono un problema: quei gruppi che hanno
già giocato un ruolo in Iraq, dove si è vista una polarizzazione nelle sue frange
più estreme aggressiva e direttamente mirata verso i cristiani. Sicuramente, è motivo
di grande angoscia per molti cristiani la prospettiva di un’islamizzazione della società
siriana, che si ipotizza perché lo spazio politico pluralista si è ridotto a causa
della repressione e l’esercito libero è sicuramente caratterizzato – anche se non
in tutto - da una attitudine musulmana. Tutto questo fa intravedere un futuro in cui
la Siria sarà più islamica. In alcune zone, poi, effettivamente le infiltrazioni più
estremiste rischiano di colorare confessionalmente il conflitto. E io mi chiedo addirittura
se non si sia possibile trovare canali per parlare con questa gente, aprendo canali
di comunicazione simbolica per riuscire a comunicare con i loro desideri simbolici
profondi… Quando mi è capitato di poterlo fare, ho visto un risultato: a me è stato
consegnato un rapito: restituito proprio un rapito in seguito ad una esperienza di
dialogo.
D. – Adesso lei è fuori dalla Siria soprattutto, diciamo così, per
far conoscere tante cose e immagino trovare vie di dialogo e vie di diplomazia. E’
stato a Beirut, è stato in Iraq proprio di recente e vi tornerà. Sulla questione dei
cristiani, che cosa sta succedendo nel Medio Oriente? C’è un discorso più generale
da fare…
R. – Io direi che i cristiani stanno finendo nella centrifuga delle
lotte intestine nel mondo musulmano. Noi abbiamo di fatto, anche se tanti lo rifiutano
teoricamente, un conflitto tra islam sunnita e islam sciita, che poi diventa anche
un conflitto sulle due sponde del Golfo Persico-Arabico. Ogni volta che si creano
conflitti, specie conflitti armati, finisce che la minoranza cristiana si trova schiacciata
e comunque sfidata da queste attitudini al rialzo sul piano ideologico dei diversi
schieramenti musulmani. Io dico che in tutto il mondo, laddove è possibile, dobbiamo
cercare di favorire il dialogo tra musulmani. E penso, per esempio, alle iniziative
della rivista Oasis, a Sant’Egidio, al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso,
al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, solo per citare le realtà che
mi vengono in mente relative al mondo cattolico. Ma bisognerebbe coinvolgere tutte
le realtà: sto cercando di coinvolgere anche istituzioni del mondo protestante, per
questo sono stato anche in Norvegia la settimana scorsa. L’immagine che uso è questa:
i cristiani si sappiano far "menisco" di questo ossuto "ginocchio".
D. – Noi
raccontiamo i numeri dei morti, le stragi, ma il dolore espresso dalla popolazione,
dalla gente lei ce l’ha sicuramente negli occhi e nelle orecchie…
R. – Sento
soprattutto due sentimenti terribilmente opposti: uno, lo scoraggiamento, vedendo
che poi è la popolazione civile che ci va di mezzo in un modo così mostruoso. L’altro,
l’alta considerazione per uomini e donne che si sono giocati la vita per riottenere
la dignità. Quindi, grande rispetto per della gente che sacrifica tutto per un ideale.