Gruppi di aiuto per uomini maltrattanti: un'esperienza nata a Firenze e che va diffondendosi
in Italia.
Una settantina, dall’inizio dell’anno, le donne uccise in Italia da mariti o ex mariti,
conviventi e fidanzati. Ma il delitto è spesso solo l’ultimo tragico atto di una
storia, in genere lunga, di violenze e di soprusi. In un recente rapporto l’ONU ha
definito il femminicidio una vera emergenza per il Paese e ha sollecitato lo Stato
a fare di più per le donne. Leggi, programmi di protezione, educazione, tanti i fronti
su cui è possibile migliorare, e c’è chi ha pensato di intervenire in aiuto degli
stessi autori delle violenze. Nel 2009, a Firenze, è nato il primo centro italiano
di ascolto per uomini maltrattanti, il Cam, e iniziative simili si sono aperte poi
in altre parti d’Italia. In tre anni al Cam 93 uomini hanno seguito i percorsi psico-educativi
proposti. Ma chi sono gli uomini che maltrattano le donne? Adriana Masotti ne
ha parlato con Alessandra Pauncz, psicologa e presidente del Centro fiorentino:
R. - Noi sappiamo,
dai dati Istat, che nel nostro Paese, circa il 14 per cento delle donne, fra i 15
e 70 anni, subiscono una violenza da parte del proprio partner; quasi due donne ogni
10. É un fenomeno estremamente diffuso; può capitare a donne di classi sociali, ed
estrazioni culturali diverse, e allo stesso modo, anche gli autori, sono uomini tendenzialmente
normali: non hanno una caratteristica socioculturale particolare, quindi sono uomini
che lavorano, che non hanno particolari problemi né psichiatrici, né di tossicodipendenza,
né di alcolismo.
D. - Chi sono gli uomini che si rivolgono al vostro centro
di Firenze, e come ci arrivano?
R. - Rappresentano un pochino questa “non tipologia”
di cui ho parlato. Sono uomini che hanno, in genere, relazioni abbastanza di lungo
termine, spesso hanno figli; sono persone che hanno, in qualche modo, investito nella
relazione e spesso vengono qui perché temono di perdere il rapporto con la compagna,
e quindi chiedono aiuto rispetto ad un problema di violenza. La ragione che li spinge,
può essere il fatto di aver agito una violenza più grave di quella che era avvenuta
fino a quel momento. In altri casi, è il rapporto con i figli che li spinge a rendersi
conto che c’è una sofferenza. Alcuni di questi uomini hanno assistito alla violenza
nelle loro famiglie di origine, e quindi la paura di sottoporre i propri figli alla
stessa cosa, è una molla che li spinge a cercare aiuto. In altri casi, è la compagna
che dà un out out dicendo: “O tu fai qualcosa, o io me ne vado”. A volte vengono informati
dai servizi sociali, oppure cercano su internet …
D. - Alla luce della sua
esperienza, può aiutarci a capire quanto la violenza nei confronti delle donne dipende
da un vissuto dell’uomo violento, e quanto da una cultura ancora fortemente maschilista
che c’è in Italia ..
R. - Direi che il fattore culturale e sociale è prevalente.
Penso che ci sia anche un fattore legato proprio a come si impara ad essere uomini
nella nostra cultura; quindi dei modelli che sono per molti versi estremamente costretti,
molto poco in contatto con le proprie emozioni. L’unica emozione che si può mostrare
è quella della rabbia e quindi alla reazione del tipo: “Se io sto male, è colpa tua”.
Spesso manca il passaggio dell’empatia: la capacità di mettersi nei panni degli altri,
una sensibilità che spesso insegniamo molto più alle bambine che ai bambini.
D.
- Le donne oggi sono più consapevoli di se stesse, e denunciano con maggiore frequenza
gli abusi, ma pagano di più per il loro coraggio. Cosa c’è da fare ancora perché anche
per loro sia possibile una vita nuova?
R. - È molto importante cambiare la
cultura omertosa intorno alla violenza. È molto importante che si possa dare sostegno
a chi sta subendo la violenza e che ci sia una restituzione di illegittimità del comportamento.
Questo è importante sia per le donne, che per gli uomini, cioè far capire che alcuni
comportamenti sono violenza e che non sono socialmente accettabili. Da questo punto
di vista, occorre anche sensibilizzare le forze dell’ordine, la magistratura rispetto
alla necessità di prendere sul serio alcuni segnali, anche precocemente. Il messaggio
che vorrei dare è che dalle situazioni di maltrattamento si può uscire; bisogna parlarne,
bisogna cercare aiuto, cercare delle soluzioni, e non bisogna rassegnarsi, perché
la violenza non fa parte delle relazioni affettive e non deve far parte della vita
familiare.