Ban Ki-moon: grave lo stallo del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla Siria
Cresce il dibattito internazionale sull’escalation di violenza in Siria. Dopo il massacro
di Tremseh, nella provincia di Hama, nel quale hanno perso la vita almeno 220 persone,
di cui molti civili, il nunzio apostolico, mons. Zenari esorta la comunità internazionale
a muoversi con decisione per fermare ulteriori e più gravi violenze. Sulla stessa
linea il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, che bacchetta lo stallo del Consiglio
di Sicurezza, uno stallo che autorizza ad altri massacri, mentre il regime di Damasco
dà la sua versione su quanto avvenuto a Tremseh. Il servizio di Marina Calculli:
Il regime,
dopo aver dato la colpa a presunti terroristi armati dall'estero, ha ammesso che l'esercito
ha partecipato al massacro, ma solo per dare la caccia a terroristi infiltrati. Il
capo degli osservatori Onu ha detto di essere pronto a recarsi sul luogo del massacro,
ma dal Palazzo di Vetro il segretario generale, Ban Ki-moon, ammonisce le debolezze
del Consiglio di Sicurezza. "Rinviare una risoluzione è per il presidente Assad -
ha detto - una licenza per continuare i massacri". D'altra parte, negli ultimi giorni
alcune notizie sullo spostamento di armi chimiche ha suscitato grandi preoccupazioni
a Washington, mentre nel nord del Libano le infiltrazioni di militari siriani alla
ricerca di dissidenti sono all'ordine del giorno. Intanto, l'opposizione armata al
regime vuole la testa di tutti coloro che nell'esercito di Damasco non defezioneranno
entro la fine di luglio.
Sulla situazione di grave violenza in Siria, Salvatore
Sabatino ha intervistato Vittorio Parsi, docente di Relazioni internazionali
presso l’Università Cattolica di Milano: R. – A me sembra
che il regime di Assad abbia deciso ormai di esasperare i toni della guerra civile,
nel senso che sta tentando una soluzione militare. Probabilmente, è consapevole delle
poche probabilità che ha di vincere complessivamente la guerra civile, ma nello stesso
tempo è anche consapevole del sostanziale blocco della comunità internazionale che
non sarà a tempo indefinito per cui c’è in qualche modo un’accelerazione di questa
crisi.
D. – Blocco della comunità internazionale che vede la Russia continuare
ad appoggiare il regime. Come si potrà risolvere questa situazione?
R. – Quella
che è in corso in Siria è comunque una guerra civile in cui le violenze vengono commesse
da entrambi le parti e la violenza che si è scatenata spinge molte delle componenti
della società siriana, non necessariamente “assadiste”, a stare dalla parte di Assad
preoccupata da quello che potrebbe succedere dopo. Tanto più se i ribelli vedono prevalere
le forze più radicali, come è ragionevole che succeda, mano a mano che lo scontro
si fa più violento. E questo credo che sia un calcolo di Assad: far emergere i più
radicali nelle forze ribelli per guadagnarsi sostegno e per tenere sotto di sé tutti
quelli che pensano che alla fine la sua dittatura sia il male minore. Detto questo,
credo che l’unico modo di uscirne sarebbe uno sblocco della posizione russa, che è
molto difficile. In questo momento, i russi pensano che sia prevalente mantenere l’appoggio
al loro alleato che in qualche modo offre ancora una possibilità di rientro in Medio
Oriente, dopo tanti anni che la Russia era sparita dall’area.
D. – Cosa potrebbe
a questo punto far cambiare posizione alla Russia?
R. – Bisogna calcolare che
la Russia ha una popolazione musulmana prevalentemente sunnita importante. Le proiezioni
demografiche ci dicono che nei prossimi 20-30 anni la minoranza musulmana russa sarà
una minoranza molto consistente. Allora, se dovessero scatenarsi attentati nelle province
russe a maggioranza musulmana, dal Caucaso all’Asia centrale, allora questo potrebbe
indurre Mosca a rivedere la sua posizione. Non è escluso che qualcuno non stia iniziando
a pensare di suscitare tutto sommato un minimo di risveglio di irredentismi ossetini,
ceceni, e quant’altro, collegati alla strage di fedeli musulmani contro il regime
di Assad.
D. – Sullo sfondo della crisi siriana c’è il piano di pace di Kofi
Annan, che in molti definiscono morto ma che lo stesso mediatore di Onu e Lega araba
continua comunque a difendere. E’ un piano secondo lei che ha fallito totalmente o
in qualche modo può essere rivisto e riportato in campo? R. – Fare la spola tra
i vari attori della regione costringe tutti a considerare che la situazione è complessa,
e che se si cerca una soluzione politica, questa avrà, di necessità, compromessi che
dovranno essere tentati perché l’alternativa a questo è uno sblocco violento della
situazione. Sblocco che può venire o facendo pressione – che è un eufemismo – sulla
Russia, affinché cambi posizione, oppure da qualche evoluzione nel quadro regionale
che coinvolga la Siria senza avere la Siria per obiettivo. Tanto per essere chiari:
se la questione del nucleare iraniano porta a qualche nuova accelerazione, allora
questa inevitabilmente è una delle conseguenze anche sugli squilibri della Siria senza
che necessariamente siano prese iniziative dirette sulla Siria.