Restauro catacombe SS. Marcellino e Pietro. Il cardinale Ravasi: valorizzare “catacombe
ignote”
Si trovano sulla via Casilina a Roma, presso una zona chiamata "ad duas lauros",
le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, che finora hanno vissuto solo brevi momenti
di aperture straordinarie. A sostenere i costi del restauro che renderà accessibile
il sito, è la Fondazione “Heydar Alieyev”, presieduta dalla first lady della
Repubblica di Azerbaijan, Mehriban Aliyeva, che recentemente ha firmato un Protocollo
assieme al cardinale Gianfranco Ravasi, nella sua veste di presidente della Pontificia
Accademia di Archeologia sacra. Nel luogo dove si trovano le catacombe, l'imperatore
Costantino fece tra l'altro erigere il Mausoleo dedicato a sua madre, Sant’Elena.
Sull’importanza del restauro di queste catacombe, che si estendono per ben 18 mila
metri quadri e sono costellate di affreschi del III e IV secolo, Debora Donnini
ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura:
R. – Sta appunto
per aprirsi un programma di analisi di queste catacombe: già in passato, sono state
condotte delle ricerche, sono stati scoperti molti scheletri e questo vuol dire che
si trattava veramente di una necropoli di grande rilievo. Ora, noi abbiamo intenzione
di procedere, attraverso il contributo che ci è stato offerto da una Fondazione dell’Azerbaijan,
nell’identificazione delle aree che devono essere restaurate e poi, soprattutto, favorire
la possibilità dell’accesso: l’accesso non è semplice, avendo sopra degli edifici
che sono anche recenti, ma soprattutto avendo sopra il grande Mausoleo di Elena.
D.
– Gli affreschi sono del III e del IV secolo. Fra questi si ritrovano figure oranti,
pastori con pecorelle, ma anche scene dell’Antico Testamento, per esempio Giona. Cosa
ci dicono sui primi cristiani a Roma?
R. – L’elemento più significativo è rappresentato,
però, non solo dalle scene dell’Antico Testamento rilette in chiave cristiana - Giona,
per esempio, con il grosso pesce simbolo della sepoltura e Risurrezione di Cristo
- ma è molto più suggestivo riuscire a identificare il trapasso tra la cultura classica
e la cultura cristiana. Si usano, infatti, delle immagini che erano proprie del mondo
greco-romano e si applicano a Cristo. E’ folgorante, per esempio, un bellissimo affresco
in cui è rappresentato Orfeo con la cetra, il quale attira a sé le anime. Tutto questo
viene riletto, però, ormai, in chiave cristiana e quindi il nuovo Orfeo che attira
a sé le anime diventa Cristo. Per questo motivo, credo sia anche un luogo molto suggestivo
per sottolineare il dialogo interreligioso, interculturale, che già nel III e nel
IV secolo era in corso. Per cui, non è avvenuto solo il rigetto della grande tradizione
pagana, ma anche la sua assunzione, come farà poi la grande tradizione patristica:
pensiamo a Sant’Agostino, che senza Platone e Plotino non sarebbe per molti aspetti
comprensibile.
D. – Per il restauro è stato siglato un Protocollo tra la Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra e la Fondazione Alieyev della Repubblica di Azerbaijan.
Quindi, per la prima volta nella storia recente, un organismo musulmano contribuisce
al restauro di un monumento cristiano…
R. – E’ molto curioso questo legame
e tra l’altro con le catacombe c’era un legame curioso in passato, perché durante
il periodo dell’ultima guerra, per esempio, erano diventate rifugio dei partigiani
e, successivamente, i ragazzini del quartiere di Torpignattara entravano a giocare
all’interno di queste catacombe: quindi catacombe con uno spazio quasi “laico”. Ora,
abbiamo un intervento di una fondazione culturale - prima di tutto e quindi non strettamente
religiosa - di un Paese musulmano, sciita, che agli occhi nostri sembrerebbe essere
quasi l’Islam più remoto rispetto al dialogo: invece io ho trovato, in seguito a una
visita ufficiale che ho fatto in quello Stato, questa grande disponibilità a voler
testimoniare l’incontro tra le culture anche attraverso i segni religiosi.
D.
– Si punta ad aprire almeno una parte di queste catacombe nel 2013, anno in cui ricorre
l’anniversario dei 1.700 anni dell’Editto di Costantino. Questo sarà possibile?
R.
– Prima di tutto, questo intervento della Fondazione Alieyev fa parte di un progetto
più generale, che noi stiamo considerando, di valorizzazione delle “catacombe ignote”.
Il secondo aspetto è che le “catacombe ignote” alcune volte sono di una bellezza straordinaria
rispetto alle catacombe note, che pure sono di grande fascino. Io vorrei soltanto
ricordare questa catacomba, quando verrà aperta al pubblico almeno in una parte il
prossimo anno, e anche – ad esempio – la catacomba di Via Dino Compagni, che è stupenda,
ma che è quasi non visitabile per il pubblico, perché purtroppo negli anni Sessanta
è stato costruito sopra un palazzo e quindi si deve accedere per una via quasi simile
ad un tombino. Terzo, nell’interno di questa catacomba dei Santi Marcellino e Pietro
vogliamo inserire idealmente la nostra memoria di Costantino - e cioè la celebrazione
che si farà soprattutto a Roma, ma che si farà in particolare a Milano e naturalmente
anche nell’area della vicina ex Jugoslavia - un ricordo particolare di Costantino
proprio nell’interno di questo luogo, che egli aveva scelto come tomba di sua madre.
Le catacombe cristiane di Roma, che sono una novantina, dovrebbero nell’Anno della
Fede diventare ancora di più luogo di celebrazione, ma anche di visita, perché lì
abbiamo veramente le radici del cristianesimo di Roma: sono sotto terra e hanno fecondato
le grandi basiliche che vi sorgono sopra. Per questo motivo, credo che lo stesso titolo
che è stato dato a quel documento con cui Benedetto XVI apriva l’Anno della Fede –
“Porta Fidei” – è paradossalmente uno dei grandi simboli, bellissimo per altro,
presente in una delle catacombe romane: la catacomba di Via Dino Compagni, che ha
appunto questa immagine, ripetuta due volte, di apertura della porta verso l’eterno
e l’infinito.