Sud Sudan a un anno dall’indipendenza. Mons. Akio: è l'ora dello sviluppo
Un anno difficile: così l’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudo, parla del primo
anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum, sottolineando la soddisfazione
del popolo per l’autonomia. Oggi, nel Paese si svolgono celebrazioni ufficiali in
presenza di personalità straniere ma senza rappresentanti del Nord Sudan. Tra Juba
e Khartoum infatti persistono forti tensioni. Mons. Lukudo Loro sottolinea l’importanza
di perseguire la pace in un territorio che conserva sacche di scontri dai Monti Nuba
al Nilo Blu. Il servizio di Fausta Speranza:
A un anno dalla
secessione, il Sudan, Paese dell’Africa subsahariana, ancora fa i conti con le conseguenze
di 20 anni di guerra civile. Nel 2004, per l’Onu era la maggiore emergenza umanitaria
del pianeta. Poi gli accordi e, faticosamente, l’avvio della separazione a tutti gli
effetti il 9 luglio dell’anno scorso. L’arcivescovo di Torit, nel Sud Sudan, mons.
Johnson Akio:
"The last one year has been so special… L’anno
appena trascorso è stato un anno veramente speciale: rispetto a dodici mesi fa, la
situazione è diversa e io ho visto molti, molti cambiamenti: prima fra tutti la pace,
specialmente nello Stato equatoriale occidentale e centrale. Molti cambiamenti ci
sono stati anche riguardo allo sviluppo delle attività: la gente ha conosciuto uno
sviluppo, che non c’era mai stato prima".
L’Onu ha esteso di un altro anno
il mandato della sua missione umanitaria nel Sud Sudan. Non mancano, infatti, le difficoltà
e le questioni irrisolte. C’è la disputa sul petrolio con le esportazioni bloccate,
perchè non c’è ancora accordo sulle tariffe per il transito del greggio. E poi soprattutto
la condizione umanitaria di alcune persone del sud rimaste nel nord. Si parla in particolare
dell’etnia dei Nuba e di restrizioni e abusi. Mons. Akio descrive un Paese in evoluzione:
"Peace
in other segment of the area… Ci sono però alcune zone dove ancora si è
un po’ preoccupati per la pace a causa di focolai di conflitti che ancora ci sono.
Questi cambiamenti hanno ovviamente coinvolto anche la Chiesa: la gente torna a casa
dopo essere stata in esilio e la nostra Chiesa, che era prima una piccola realtà,
sta crescendo e sta diventando una grande realtà, che conta un grande numero di fedeli.
Molte delle persone sono rientrate e il numero è ancora più grande, perché sono rientrati
con i figli nati in altri Paesi. Erano dei rifugiati e ora sono rientrati in un Paese
che i figli non hanno mai conosciuto. Adesso, però, quello che vediamo è la necessità
di infrastrutture. Ho deciso di fare un giro per l’intera diocesi per raccogliere
le reali opinioni delle persone: cosa volevamo dirmi o chiedermi: sono stato in 8
paesi. Quando ho visitato questi luoghi, ho avuto la possibilità di ascoltare direttamente
da loro come fosse nata in loro la fede e che cosa avessero fatto, cosa fanno ora
e cosa faranno in futuro. Molte scuole sono state costruite dal governo, ma adesso
bisogna vedere come verranno curate. Il governo ha costruito diverse scuole, perché
vuole cercare di fare la differenza: era imbarazzante vedere i nostri figli dover
andare in altri Paesi, perché c’erano le scuole e altri servizi. Gli ospedali non
sono ancora rinnovati. Prima c’erano i servizi, ma non erano accessibili a molti di
noi… Ora, sto vedendo come siano più accessibili e come stia cambiando la situazione".
Mons.
Akio sottolinea poi l’importanza dell’informazione in un Paese che sta affrontando
cambiamenti così significativi:
“Change I would like… Un cambiamento
che vorrei ancora vedere è rappresentato dalla realtà della radio, della nostra 'Radio
Emmanuel': perché la radio può essere usata per raggiungere molte persone e quando
riesce a raggiungerle, esse hanno informazioni su quanto sta avvenendo da loro e nel
resto del mondo. Ci sono tanti mezzi per arrivare alla pace: noi usiamo l’acqua come
strumento per camminare verso la pace, usiamo la scuola per la pace, usiamo i sistemi
di comunicazione per la pace. Ma ora che c’è la pace ho visto i cambiamenti e vedo
che è necessario che la gente di qui sia informata anche attraverso la radio su quanto
accade nel suo Paese".