La Chiesa cattolica in Mongolia in festa per celebrare i 20 anni di presenza nel Paese
asiatico uscito nel 1991 da 70 anni di dittatura comunista. L’anno seguente veniva
aperta la prima missione mongola, con l’arrivo nella capitale di mons. Wencelaslao
Padilla, allora nunzio apostolico nella Corea del Sud, oggi prefetto apostolico di
Ulaan Bataar. Una Chiesa piccola che oggi conta circa 800 fedeli su una popolazione
di 2 milioni di abitanti, una Chiesa che vuole crescere e contribuire allo sviluppo
della Mongolia. Roberta Gisotti ha intervistato padre Ernesto Viscardi,
missionario della Consolata, viceprefetto apostolico:
R. – E’ una
prima tappa di un cammino iniziato nel ’92 con i primi tre missionari che sono arrivati
qui in Mongolia e direi che è stato un cammino lento, però attento alle situazioni
che il Paese viveva. Un cammino anche attento a tutti i bisogni di una prima evangelizzazione,
quindi un momento di riflessione, di memoria, ma anche di progettazione verso il futuro.
D.
– Quando la Chiesa ha inaugurato la sua presenza, la Mongolia usciva dal regime comunista.
Qual è la situazione oggi rispetto a vent’anni fa?
R. – Direi che la situazione
sociale è totalmente cambiata. L’uscita dei russi lasciava un Paese con tutte le cose
da fare. Oggi come oggi questo è un Paese che si presenta al mondo con una crescita
annua del 17 per cento, è uno dei Paesi che sta crescendo in maniera vistosa soprattutto
in questi anni grazie alla ricchezza del territorio. Quindi è un Paese che sta cambiando
dal punto di vista economico, con questi grossi investimenti dall’estero, soprattutto
nel ramo delle miniere di carbone, di rame, di uranio, di oro, etc. E’ un Paese che
sotto la spinta e la ricchezza economica sta cambiando anche dal punto di vista sociale
e culturale. Questi cambiamenti hanno i loro aspetti belli ed hanno i loro aspetti
negativi. Questa modernità che sta entrando, questa apertura al grande mercato mondiale
sta in qualche maniera erodendo un po’ la ricchezza e le tradizioni di questo Paese
ma dandogli la possibilità di una crescita e di un livello di vita per tutti certamente
molto più alto. E’ chiaro che questo pone alla Chiesa grossi interrogativi. Primo
fra tutti il proiettare questa situazione nei prossimi anni, cosa sarà la Mongolia
fra 5 anni, cosa sarà il suo tessuto sociale, come sarà il suo livello di vita e quali
saranno i bisogni religiosi a partire da ora. Noi stiamo vivendo con il nostro popolo
mongolo questo cammino di transizione che non è facile nel senso che avviene in uno
spazio di tempo molto breve rispetto a quanto le culture europee hanno potuto vivere
lungo i secoli. Quello che si spera è che sia lo Stato, sia l’Amministrazione, ma
direi anche il ceto culturale di questo Paese possano in qualche maniera gestire in
maniera efficiente e positiva questa transizione che sta avvenendo.
D. La Chiesa
cattolica è cresciuta ma resta una piccola minoranza?
R. – Siamo 825 cattolici
su 2 milioni e 800 mila abitanti.
D. - Quali sono i rapporti con le autorità
civili e con fedeli delle altre confessioni?
R. – Il vescovo attuale, mons.
Padilla, durante gli anni ha sempre cercato di mantenere un rapporto aperto, un rapporto
cordiale, di collaborazione anche con le varie Amministrazioni. Il Paese dichiara
una libertà religiosa dal punto di vista della legge nazionale. Di fatto poi questa
libertà religiosa, questo principio viene applicato in maniera molto diversa secondo
le diverse regioni. A livello più locale ogni istituzione religiosa, la nostra compresa
ha bisogno del permesso specifico per potere esercitare attività religiose in un dato
luogo e tutte le volte che c’è da aprire un centro c’è da fare tutta una lunga trafila
burocratica per ottenere il permesso e poi non si è sempre sicuri di poterlo ottenere.
Dal punto di vista di problematiche vere e proprie, come espulsioni di missionari,
non ce ne sono state, di fatto però lo Stato ci tiene d’occhio per quello che facciamo.
D.
- Quali sono le attività che la Chiesa riesce a svolgere?
R. – La nostra Chiesa
conta ormai in questi vent’anni l’apertura di cinque parrocchie. Attorno a questi
centri parrocchiali hanno iniziato una serie di attività anche sociali molto apprezzate
dalle autorità locali che vanno dai ragazzi di strada, che è stata certamente la prima
attività, alle mense per i poveri delle suore di Madre Teresa, alle scuole di recupero
delle suore di Saint Paul de Chartres, ai centri scolastici per formazione come la
scuola dei salesiani, a una serie di asili, di attività sociali che si erano sviluppate
fin dall’inizio e che hanno permesso alla Chiesa di presentarsi e di far vedere la
sua carta d’identità, di far capire un po’ allo Stato che certamente non aveva esperienza
di Chiesa cattolica e rimane ancora molto nebulosa l’idea fra Vaticano e Chiesa cattolica.
Oggi come oggi la presenza della Chiesa cattolica è capita. Si intuisce anche l’importanza
che ha la nostra Chiesa anche a livello mondiale. L’anno scorso c’è stata questa visita
del nostro presidente al Papa che è stato un momento molto importante per la presenza
della nostra Chiesa.