2012-07-08 09:25:54

Sud Sudan: tensioni alla vigilia del primo anniversario dell’indipendenza


Il 9 luglio dello scorso anno il Sud Sudan si è dichiarato indipendente dal Sudan. L’inizio, dunque, di una nuova fase per il Paese dopo 50 anni di lotte intestine. Tuttavia, permane una situazione di tensione tra Giuba e Khartoum, divise dal controllo di alcune regioni petrolifere, tanto che le Nazioni Unite, pochi giorni fa, hanno prolungato di un anno la missione in Sud Sudan. A preoccupare è pure la grave situazione umanitaria per i profughi di entrambi i Paesi che sfuggono alle violenze. Sono dunque molti i nodi irrisolti tra i due Sudan come conferma, al microfono di Marco Guerra, la prof.ssa Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’università di Torino:RealAudioMP3

R. – La principale questione irrisolta è quella dei confini, che non sono stati esattamente definiti e questo ha creato dei contrasti che durano tuttora. Poi l’attribuzione a uno dei due Stati di due regioni per le quali era già previsto che si svolgessero dei referendum, che invece non si sono tenuti. La ragione per cui i referendum non si sono svolti è che la secessione del Sudan ha tolto al Nord del Sudan il 75 per cento dei suoi proventi derivanti dal petrolio: il che ha comportato e sta comportando dei problemi enormi per l’economia e quindi anche per la vita sociale del Sudan, che non si può permettere di perdere ulteriormente risorse e che sta quindi cercando di mantenere e anzi di rivendicare ulteriori giacimenti di petrolio. E’ oramai quasi una questione di sopravvivenza per entrambi i Paesi.

D. – Tra marzo e aprile scorso i contrasti tra i due Paesi sono sfociati in scontri armati lungo la frontiera. C’è il rischio di una nuova guerra?

R. – Questi scontri sono stati scontri cruenti e con ripercussioni gravissime sulla popolazione. Finché non si risolverà la questione dei confini, l’attribuzione dei territori, è talmente importante la posta in gioco, che i due Paesi sono disposti a ricorrere alle armi. Bisogna poi aggiungere che la secessione ha sì attribuito il 75 per cento delle risorse petrolifere al Sudan, lasciando però al Sudan residuo – diciamo al Nord del Sudan - le poche raffinerie esistenti e soprattutto la discrezionalità per quel che riguarda il trasporto del greggio sud sudanese fino a Port Sudan, che è il termine unico attraverso il quale il Sud Sudan può esportare il suo petrolio. Da qui – va aggiunto, perché è molto importante - è nato un ulteriore contenzioso dalle conseguenze davvero drammatiche, perché il Sud Sudan per trasportare il suo petrolio dovrebbe pagare – e questa è la richiesta di Khartoum – 36 dollari per barile di greggio: una cifra veramente astronomica! Il risultato è stato che il Sud Sudan da gennaio non produce petrolio e quindi è alla bancarotta; il Sudan ha perso anche questo tipo di risorsa ed è alla bancarotta esattamente come Giuba.

D. – In che condizioni socio-economiche si trova il neonato Stato del Sud Sudan?

R. – Naturalmente questa situazione sta avendo delle ripercussioni molto serie su una popolazione che – bisogna ricordarlo – è provata, è stremata, è decimata tra l’altro da una guerra civile che è durata praticamente 50 anni. Sembra che il governo di Giuba - risulta ormai evidente - non abbia fatto granché per avviare lo sviluppo economico e sociale del Paese; in più sembra che le nuove leadership del Sud Sudan non abbiano saputo resistere alla tentazione della corruzione, del malgoverno. La popolazione è poverissima, vive per lo più in condizioni non solo di estrema povertà, ma di abbandono perché mancano le infrastrutture e mancano al punto che è difficile prestare soccorso a questa popolazione, anche da parte della comunità internazionale; mancano ospedali, mancano scuole. Il Paese manca di tutto! In più ci sono i profughi: si tratta delle popolazioni che vivono negli Stati del Sudan, immediatamente al di là della frontiera, dove il governo di Khartoum combatte contro dei movimenti ribelli armati. C’è poi ancora il problema – tutt’altro che secondario – dei circa 700 mila sud sudanesi che hanno vissuto finora nel Sudan e che si sono ritrovati – dal 9 luglio scorso in poi – stranieri in terra straniera. Il ritorno di tutti questi immigrati è un problema che si aggiunge ad altri problemi: in patria non hanno casa, non hanno lavoro, non hanno terra, non hanno bestiame e quindi hanno bisogno di tutto; hanno bisogno di ricominciare una vita in un Paese che in questo momento di risorse ne ha veramente molto, molto poche pur essendo un Paese potenzialmente ricchissimo.







All the contents on this site are copyrighted ©.