Elezioni in Libia, le prime del dopo Gheddafi: code a Tripoli e disordini a Bengasi
Lunghe code in alcune città della Libia per le storiche elezioni del dopo Gheddafi
e a 48 anni di distanza dall’ultimo voto. Da registrare anche alcuni episodi di violenza
nella parte orientale del Paese, in particolare a Bengasi, cuore della rivolta contro
il colonnello. Diversi seggi - un centinaio secondo la Commissione Elettorale - sono
rimasti chiusi a causa di atti di sabotaggio commessi da alcuni manifestanti che hanno
anche messo a fuoco le schede elettorali. Pesanti le critiche sulla gestione della
sicurezza pubblica, maggiormente concentrata a Tripoli e al nord a spese della Cirenaica.
Due milioni e 700 mila di cittadini sono oggi chiamati a scegliere solo i 200 membri
del Congresso Generale Nazionale, che avrà il compito di nominare il governo e il
nuovo premier. Non saranno invece scelti i 60 membri dell'Assemblea Costituente, ieri
sera il Consiglio Nazionale di Transizione ha approvato una legge che prevede la loro
elezione in un secondo momento. Ma si è arrivati a questo momento storico in un clima
di sufficiente libertà e rispetto per tutti, candidati e elettori? Al microfono di
Adriana Masotti, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico
di Tripoli:
R. - Io penso
di sì, anche se è difficile dire una parola certa per questa nuova realtà che si propone
alla società libica. Una cosa è sicura: i libici si sono preparati con molto entusiasmo
e certamente, anche con molta preoccupazione. Aspettano veramente qualche risultato
concreto che possa essere la vita nuova del Paese.
D. - Il compito dell’Assemblea
nazionale libica che uscirà dal voto, sarà nominare il nuovo governo e poi la nuova
Costituzione. Che cosa, secondo lei, dovrebbe garantire principalmente questa nuova
Costituzione nella Libia di oggi?
R. - Penso che innanzi tutto quello che si
vuole, e quello che i libici vogliano, sia una certa sicurezza; sicurezza nel Paese
e poi un clima più sereno e quindi di scelte per il programma del governo. È una cosa
non facile, anche perché è la prima volta. Tutti vorrebbero la sicurezza, ma non tutti
sono disponibili forse a dare quello che dovrebbero dare. Io ho fiducia che, in questa
realtà nuova che si presenta, qualche cosa di positivo verrà fuori anche da queste
elezioni e da queste decisioni dei libici.
D. – Lo dice Amnesty International
in un recente rapporto, e molti lo sostengono, che il rispetto dei diritti umani e
il primato della legge, dovrebbero essere le priorità di chi vince queste elezioni.
A che punto siamo oggi su questo in Libia?
R. - Credo che c’è tutta la volontà
di arrivare a questa decisione concreta del rispetto dei diritti dell’uomo. Prima
il leader faceva tutto: la legge era nelle sue mani, e la legge era lui. Oggi ci si
accorge come realmente le cose vanno evolvendosi, e la prima cosa forse da mettere
in evidenza è il rispetto di tutte le entità che sono in Libia, non soltanto le persone,
ma anche le diverse entità nelle diverse zone della Libia. Se vogliamo la libertà
e anche una pace, occorre garantire a tutte queste realtà proprio la libertà di espressione
e di vita. Mi riferisco in particolare a quanti hanno avuto un ruolo anche in questa
liberazione della Libia. Quindi questa possibilità di dare a tutti anche il respiro
è necessaria in questo nuovo contesto sociale.
D. - Per i cristiani presenti
in Libia, c’è qualche preoccupazione in più?
R. - I cristiani in pratica sono
tutti stranieri. Quindi io mi auguro che la situazione nuova non presenti sorprese.
Fino ad adesso possiamo dire che la Chiesa è stata accettata, rispettata e i cristiani,
in qualsiasi parte si trovano, hanno la possibilità di esprimere, realizzare la propria
fede. Pensiamo ad esempio alle diverse unità, ai diversi gruppi, soprattutto filippini
che lavorano nel deserto, oppure lungo la costa nei diversi ospedali; sono persone
che sicuramente prestano un servizio importante al Paese e quindi viene assicurata
loro la possibilità di avere un servizio religioso necessario. Ripeto, sono soprattutto
filippini, ma anche coloro che lavorano negli ospedali, quelli che richiedono maggiormente
un servizio religioso. Ma penso all’eventuale ritorno delle compagnie straniere: ci
sarà tanta altra gente nei diversi cantieri, che avrà bisogno e richiederà una presenza
sacerdotale e una presenza di servizio pastorale.