Allarme del Fondo Monetario: Paesi emergenti coinvolti dalla crisi
L'economia mondiale sta peggiorando e la crisi è diventata negli ultimi mesi “più
preoccupante”. A lanciare l’allarme è stata la numero uno del Fondo Monetario Internazionale,
Christine Lagarde, la quale ha sottolineato che a soffrire non è più solo l’Europa,
ma anche gli Stati Uniti e, cosa più preoccupante, la Cina, il Brasile e l’India.
Quei Paesi emergenti che, fino a questo momento, erano il traino dell’economia mondiale.
Salvatore Sabatino ha intervistato Luca De Fraia, segretario generale
aggiunto di Action Aid-Italia:
R. - Il grido
dall’allarme lanciato dal direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, richiede,
a mio avviso, ancora una piena interpretazione. Ricordiamo che Lagarde ha fatto il
suo annuncio in Giappone e in quel contesto, ha tenuto a sottolineare che chiaramente
c’è un legame tra i diversi aspetti della crisi. Ma se andiamo a guardare i numeri
che lo stesso Fondo Monetario mette a disposizione, le regioni, i Paesi di cui stiamo
parlando, Cina, Brasile e India, sono ancora Paesi che fanno registrare dei segni
positivi nella crescita economica; anzi, a giugno, per la Cina si dava un otto percento
di crescita. Bisogna tener conto di questi elementi. Non si tratta eventualmente,
allo stato attuale, di uno stop della crescita di questi Paesi, ma di un rallentamento
che probabilmente non sarà della stessa dimensione del fenomeno che stiamo osservando
in Europa.
D. - Ci sono dei Paesi che hanno puntato più sulla produzione di
petrolio e altri invece sulla produzione agricola con dinamiche che sono molto differenti
tra loro ...
R. - Questo è un aspetto fondamentale per capire quali potrebbero
essere le implicazioni tra i diversi livelli di crescita tra i diversi raggruppamenti
di Paesi, perché i legami non corrono più semplicemente attraverso le materie prime
classiche che sono quelle energetiche, ma ad esempio, ne esistono di nuovi che passano
attraverso la produzione di beni agricoli. La Cina che cresce, che è anche più benestante,
è un Paese che consuma di più anche in termini di cibo, e che quindi deve andare ad
acquistare materie prime agricole sui mercati mondiali. Essendo quindi il "portfolio"
di elementi e di relazioni commerciali che corrono tra i Paesi emergenti di cui stiamo
parlando adesso, e i Paesi in via di sviluppo, molto più ricco rispetto al passato,
anche questo elemento può attenuare le implicazioni o le ripercussioni di una crisi
globale sui Paesi considerati ancora in via di sviluppo.
D. - È possibile prevedere
una sorta di effetto domino ben più ampio che coinvolga anche Paesi non così lanciati
come Cina, India e Brasile?
R. - Un effetto domino avrebbe come fondamento
soprattutto, a mio avviso, dinamiche che sono molto dentro i mercati finanziari. Laddove
poi si passa ad altri mercati collegati a beni e commodities che sono più legati alle
dinamiche produttive, gli effetti domino sono meno evidenti. Teniamo conto che per
i Paesi in via di sviluppo - parliamo principalmente dei Paesi del continente africano
in questo caso - esistono anche altre fonti di risorse che possono contenere la crisi;
fra queste ci sono anche gli aiuti pubblici allo sviluppo, le rimesse, gli investimenti
internazionali che si stanno indirizzando in Africa proprio sull’acquisto e l’uso
di terreni per finalità diverse, agricole ed energetiche. Questo uso, che è fonte
di riflessione e di preoccupazione, può essere comunque un fattore che attenua l’impatto
della crisi. Quindi direi che siamo di fronte ad uno scenario molto più complesso
rispetto a quello che poteva essere lo scenario di dieci anni fa, che quindi potrebbe
darci dei risultati e delle sorprese rispetto alla performance dei singoli Paesi e
delle singole regioni, che non ci saremmo aspettati qualche tempo fa.