2012-07-07 14:45:24

Allarme del Fondo Monetario: Paesi emergenti coinvolti dalla crisi


L'economia mondiale sta peggiorando e la crisi è diventata negli ultimi mesi “più preoccupante”. A lanciare l’allarme è stata la numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, la quale ha sottolineato che a soffrire non è più solo l’Europa, ma anche gli Stati Uniti e, cosa più preoccupante, la Cina, il Brasile e l’India. Quei Paesi emergenti che, fino a questo momento, erano il traino dell’economia mondiale. Salvatore Sabatino ha intervistato Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di Action Aid-Italia:RealAudioMP3

R. - Il grido dall’allarme lanciato dal direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, richiede, a mio avviso, ancora una piena interpretazione. Ricordiamo che Lagarde ha fatto il suo annuncio in Giappone e in quel contesto, ha tenuto a sottolineare che chiaramente c’è un legame tra i diversi aspetti della crisi. Ma se andiamo a guardare i numeri che lo stesso Fondo Monetario mette a disposizione, le regioni, i Paesi di cui stiamo parlando, Cina, Brasile e India, sono ancora Paesi che fanno registrare dei segni positivi nella crescita economica; anzi, a giugno, per la Cina si dava un otto percento di crescita. Bisogna tener conto di questi elementi. Non si tratta eventualmente, allo stato attuale, di uno stop della crescita di questi Paesi, ma di un rallentamento che probabilmente non sarà della stessa dimensione del fenomeno che stiamo osservando in Europa.

D. - Ci sono dei Paesi che hanno puntato più sulla produzione di petrolio e altri invece sulla produzione agricola con dinamiche che sono molto differenti tra loro ...

R. - Questo è un aspetto fondamentale per capire quali potrebbero essere le implicazioni tra i diversi livelli di crescita tra i diversi raggruppamenti di Paesi, perché i legami non corrono più semplicemente attraverso le materie prime classiche che sono quelle energetiche, ma ad esempio, ne esistono di nuovi che passano attraverso la produzione di beni agricoli. La Cina che cresce, che è anche più benestante, è un Paese che consuma di più anche in termini di cibo, e che quindi deve andare ad acquistare materie prime agricole sui mercati mondiali. Essendo quindi il "portfolio" di elementi e di relazioni commerciali che corrono tra i Paesi emergenti di cui stiamo parlando adesso, e i Paesi in via di sviluppo, molto più ricco rispetto al passato, anche questo elemento può attenuare le implicazioni o le ripercussioni di una crisi globale sui Paesi considerati ancora in via di sviluppo.

D. - È possibile prevedere una sorta di effetto domino ben più ampio che coinvolga anche Paesi non così lanciati come Cina, India e Brasile?

R. - Un effetto domino avrebbe come fondamento soprattutto, a mio avviso, dinamiche che sono molto dentro i mercati finanziari. Laddove poi si passa ad altri mercati collegati a beni e commodities che sono più legati alle dinamiche produttive, gli effetti domino sono meno evidenti. Teniamo conto che per i Paesi in via di sviluppo - parliamo principalmente dei Paesi del continente africano in questo caso - esistono anche altre fonti di risorse che possono contenere la crisi; fra queste ci sono anche gli aiuti pubblici allo sviluppo, le rimesse, gli investimenti internazionali che si stanno indirizzando in Africa proprio sull’acquisto e l’uso di terreni per finalità diverse, agricole ed energetiche. Questo uso, che è fonte di riflessione e di preoccupazione, può essere comunque un fattore che attenua l’impatto della crisi. Quindi direi che siamo di fronte ad uno scenario molto più complesso rispetto a quello che poteva essere lo scenario di dieci anni fa, che quindi potrebbe darci dei risultati e delle sorprese rispetto alla performance dei singoli Paesi e delle singole regioni, che non ci saremmo aspettati qualche tempo fa.







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