Le Cinque Terre a otto mesi dall’alluvione: la testimonianza di un parroco
Il 25 ottobre dello scorso anno una tremenda alluvione ha colpito le Cinque Terre,
perle della costa ligure dove era solito trascorrere lunghi periodi di villeggiatura
il poeta Eugenio Montale che proprio a Monterosso, l’ultimo dei paesini venendo da
La Spezia, ha tratto ispirazione per molti suoi lavori. Il parroco di San Giovanni
Battista, don Antonio Carozza, ripercorre al microfono di Roberta Barbi
questi ultimi 8 mesi in cui la gente si è data particolarmente da fare:
I ricordi della
tragedia sono ancora vivi negli occhi degli abitanti di Monterosso. Ai più anziani
tra loro – e non sono pochi in Liguria – il fango e l’acqua che invadevano le strade
hanno certamente richiamato alla mente quel fango e quell’acqua che già nel 1966 piegarono
così duramente la costa ligure. Ma oggi come allora questa gente spigolosa e fiera,
che parla poco e lavora molto, non ha perso tempo per ricostruire, come testimonia
don Antonio Carozza:
“Noi già dopo una settimana abbiamo ripulito
dal grosso la chiesa e la chiesa ha ripreso il suo ruolo di riferimento, anche se
all’inizio le persone erano state evacuate e c’era poca gente. La settimana dopo il
disastro abbiamo riaperto la chiesa per i funerali del volontario Sandro Usai che
purtroppo ha dato la vita”.
Da tre anni don Antonio ricopre l’incarico
di parroco a San Giovanni Battista a Monterosso a Mare, una delle chiese più colpite
dall’alluvione. La parrocchia è affidata alla Famiglia religiosa dei Discepoli che
qui hanno anche un istituto intitolato a padre Semeria, creato inizialmente per l’assistenza
degli orfani di guerra. Don Antonio conosce bene la sua gente e, nell’ora del dolore,
ha saputo trovare il modo giusto per sostenerla:
“Mi pongo sempre in questo
atteggiamento più di ascolto e di vicinanza alla gente, senza forzarla. Gli abitanti
di Monterosso hanno un carattere abbastanza chiuso, sono loro che quando uno si avvicina
piano, piano, dopo i primi momenti cominciano ad aprirsi. Anche per l’esperienza che
ho avuto in missione, il primo aiuto che si può dare è la disponibilità all’ascolto
e a stare vicino. C’è stata più di qualche persona che mi diceva proprio questo: non
ci abbandonare, non ci lasciare, non te ne andare”.
Ora che entra nel vivo
la stagione turistica, però, l’alluvione di Monterosso sembra soltanto un ricordo,
anche se non troppo lontano, asciugato dal sole di luglio. A farsi sentire, semmai,
è la crisi, alla quale però, come sempre, gli abitanti non si arrendono:
“La
popolazione si è rimboccata le maniche, già per Pasqua era quasi tutto pronto, tutte
le attività sono attualmente aperte, bar, ristoranti e servizi vari hanno ripreso
pienamente l’attività”.
Anche un’esperienza drammatica come quella vissuta
da queste popolazioni può insegnare qualcosa, l’importante, sottolinea don Antonio,
è farne tesoro:
“Nel disastro si sono riscoperti il valore della reciprocità,
della condivisione, della solidarietà, cose importantissime che oggi purtroppo normalmente
non si vivono più”.
Ma al di là dell’emergenza, a Monterosso, in quella
terra di Liguria schiacciata tra montagna e mare, vive una comunità che si riunisce
intorno alla chiesa di San Giovanni Battista. Padre Antonio ce la presenta così:
“La
comunità è ancora molto sparpagliata nel senso che la partecipazione è soprattutto
di gente adulta e turisti che da Pasqua in poi sono presenti. La maggior parte della
popolazione di Monterosso, esclusi quelli che lavorano, viene da fuori, sono pendolari.
Monterosso non ha una grande fetta di famiglie giovani. La partecipazione non è grande,
ci si deve accontentare e cercare di lavorare con quello che si ha”.
La
sfida da vincere, qui, riguarda i giovani, portarli in parrocchia può essere addirittura
un’impresa:
“La grande difficoltà che ho incontrato è che a livello giovanile
non ho trovato nessun movimento, i giovani subito dopo la Cresima non partecipano
più, anche perché c’è la cultura di pendere in giro quelli che continuano dopa la
Cresima. Si sta cercando anche in questo di sensibilizzare, di trascinare, di creare
un movimento anche per i ragazzi, di tipo oratorio, per creare attività con questi
ragazzi, averli più partecipi e non solo per quanto riguarda la Chiesa ma anche per
fare aggregazione”.