I vescovi kenyani: “Non è guerra di religione ma siamo turbati per gli attacchi alle
chiese”
“Siamo profondamente preoccupati per gli attacchi mortali contro keniani innocenti
all’Africa Inland Church e alla Cattedrale cattolica di Garissa” scrivono i vescovi
del Kenya, in un comunicato inviato all’agenzia Fides, firmato dal cardinale John
Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza episcopale del Kenya. Domenica
1° luglio uomini armati, che si presume siano legati agli Shabaab somali, hanno assalito
la cattedrale cattolica di Garissa e la locale chiesa evangelica dell’Africa Inland
Church provocando almeno 17 morti e una cinquantina i feriti. “Questi ingiustificati
atti di violenza inflitti ai keniani, inclusi donne e bambini, non solo provocano
la perdita di vite innocenti ma creano anche un senso di insicurezza tra i cristiani
e tutti i keniani desiderosi della pace” afferma il comunicato. I vescovi precisano
inoltre: “mentre riaffermiamo il nostro convincimento che non siamo in presenza di
una guerra di religione, siamo turbati dal fatto che gli attacchi sono stati condotti
contro chiese cristiane. Come Conferenza episcopale del Kenya, chiediamo a tutti i
keniani di lavorare per promuovere la coesistenza pacifica”. Nel messaggio si chiede
inoltre a tutti di collaborare con le forze di polizia per fermare le violenze e il
terrorismo e si richiamano le responsabilità del governo perché conduca indagini approfondite
e valuti le condizioni di sicurezza del Paese. La Santa Sede - attraverso il portavoce
vaticano padre Federico Lombardi - ha espresso orrore e preoccupazione per gli attacchi.
Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Azioni
simultanee e ben organizzate, quelle di ieri a Garissa, che hanno preso di mira la
cattedrale cattolica e una piccola chiesa evangelica appartenente all'Africa Inland
Indipendent Church; qui l’attacco più feroce, con almeno 16 morti. Momenti drammatici,
ripercorsi, in un’intervista all’agenzia Fides, da mons. Paul Darmanin, vescovo di
Garissa; uomini armati e mascherati “hanno gettato alcune bombe a mano all’interno
dell’edificio – riferisce – con lo scopo di farli fuggire fuori, dove sono stati colpiti
con i fucili presi a due soldati uccisi all’esterno della chiesa”. Il vescovo ritiene,
inoltre, che la pista più probabile non sia quella religiosa, ma politica: “gli Shabaab
– sottolinea – avevano minacciato rappresaglie per le operazioni condotte dall’ottobre
2011 dall’esercito del Kenya in Somalia. Della stessa opinione anche padre Franco
Moretti, direttore della Rivista “Nigrizia”, intervistato da Antonella Palermo:
"Ricordiamo
che tutta la provincia orientale del Kenya, che è immensa, è occupata da somali. Sono
i fratelli, sono i cugini della gente che abita dall’altra parte del confine. Il Kenya
ha sempre avuto questo problema: 30 anni fa c’erano i guerriglieri shifta; poi ci
sono stati altri guerriglieri, che erano più gruppi di banditi; e ultimamente ci sono
gli al Shebaab. Teniamo anche presente che il presidente e i membri del governo del
Kenya, tutte le domeniche, appaiono in tv durante la Messa o i riti protestanti. Quindi
lo si può capire – non certo giustificare, ma si può capire – questo odio che i somali
hanno nei confronti del Kenya, che viene avvertito come una nazione cristiana – metà
cattolica e metà protestante. Se una persona dice: l’unico modo per difendermi è compiere
atti di terrorismo, gli obiettivi più facili sono le chiese".
Di un "undici
settembre infinito" parla il cardinale nigeriano Anthony Olobunmi Okogie. Attentati
che avvengono "nell'indifferenza del mondo" - sottolinea in un'intervista al quotidiano
La Stampa - e che fanno vivere al continente africano un "martirio senza via d'uscita".
''In Nigeria come in Kenya - spiega - i terroristi hanno finanziatori e sponsor dentro
e fuori i confini nazionali.
Già in passato i miliziani islamici somali di
Al Shabaab avevano condotto altre azioni terroristiche in Kenya. La città di Garissa
ospita un’importante base militare dell’esercito keniano e si trova ad un centinaio
di chilometri dall’enorme campo profughi di Dadaab, dove vivono attualmente oltre
450 mila rifugiati somali, in fuga dalla guerra e dalla carestia. Venerdì scorso proprio
a Dadaab erano stati rapiti i quattro operatori umanitari stranieri liberati questa
mattina in Somalia. Fonti locali annunciano che sono in buona salute e che sono già
in viaggio verso Nairobi.