Santi Pietro e Paolo. Il Papa alla Messa: Chiesa fondata sulla grazia di Dio che vince
le forze del male
“Non una “comunità di perfetti”, ma una “nuova fraternità”, che ha bisogno del perdono
di Dio e che ha senso se unita a Cristo, dal quale ha ricevuto la “grazia” del perdono
dei peccati, che “toglie energia alle forze del caos e del male”. È un passaggio dell’omelia
di Benedetto XVI alla Messa solenne dei Santi Pietro e Paolo, presieduta questa mattina
nella Basilica di San Pietro, alla presenza - come da lunga tradizione - di una delegazione
del Patriarcato ortodosso ecumenico. Durante la celebrazione, il Papa impone il pallio
ai nuovi arcivescovi metropoliti, 43 dei quali presenti in Basilica, mentre agli altri
tre verrà consegnato nelle rispettive sedi metropolitane. Di seguito, il testo dell’omelia
pronunciata da Benedetto XVI:
“Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’episcopato
e nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle!
Siamo riuniti attorno all’altare
per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paolo, principali Patroni della
Chiesa di Roma. Sono presenti, ed hanno appena ricevuto il Pallio, gli Arcivescovi
Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale e affettuoso
saluto. E’ presente anche, inviata da Sua Santità Bartolomeo I, una eminente Delegazione
del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che accolgo con fraterna e cordiale riconoscenza.
In spirito ecumenico sono lieto di salutare e ringraziare “The Choir of Westminster
Abbey”, che anima la Liturgia assieme alla Cappella Sistina. Saluto anche i Signori
Ambasciatori e le Autorità civili: tutti ringrazio per la presenza e per la preghiera.
Davanti
alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue
degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le
chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore
della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita
e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre
considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano
tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha
acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città
li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di
fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche
a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè,
la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino
uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro
e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo
nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile
proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù
conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità
odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca
di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca ecumenico e il Vescovo di Roma,
come pure tutti i cristiani.
Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo
ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo
come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta,
il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la
«pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio
spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia?
Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se
stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento
dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla
carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione
di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e
risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si
mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua
volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo
che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che
è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare
– in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono
che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro
vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata
proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e
alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa
pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini,
che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.
E nel Vangelo di oggi
emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze
del male, non potranno avere il sopravvento, «non prevalebunt». Viene alla
mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando
la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna
di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi
capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti
vinceranno, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). In realtà, la
promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti:
questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere
difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve
una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene
rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù
Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro
stesso.
Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo.
Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto:
«Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). La chiave rappresenta l’autorità
sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi
e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti
agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa
fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta
di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere
(cfr Ap 3,7). Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere
– esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare
e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni
dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di
togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le
decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore
anche davanti a Dio.
Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato
alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli:
«In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e
tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18).
E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli
alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo.
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete,
non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Alla luce di questi parallelismi, appare
chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere
i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel
cuore del ministero e del mistero della Chiesa. Essa non è una comunità di perfetti,
ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi
di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull’autorità
di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore,
l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché,
nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente
il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze
degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia,
che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.
Cari fratelli, come
ricordavo all’inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada,
e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo,
però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada
si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo
avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm
4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della
Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E
proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme
con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.
Cari Metropoliti:
il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel
e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale
costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla
roccia di Pietro. Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori
della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di
noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore
nella grazia dell’unico Spirito. Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della
fede e della carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen”.