2012-06-28 14:24:23

"Un matrimonio": la fiction familiare di Pupi Avati


Trattenuto a Bologna per motivi di salute di un familiare, Pupi Avati non ha mancato di far sentire la sua voce al FilmFest di Taormina per presentare la sua nuova fiction televisiva "Un matrimonio", dedicata alla famiglia, intessuta di ricordi e di affetti. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Ne è convinto, Pupi Avati: il cinema fatto con una certa ambizione, quello d’autore, sta vivendo un’emarginazione drammatica. La televisione per lui non è una fuga, ma un nuovo modo di potersi esprimere scendendo in profondità nella psicologia dei suoi personaggi. Si è semplicemente voltato indietro, gettando lo sguardo sulla sua famiglia, e così è nata l’idea di girare "Un matrimonio", una fiction in sei puntate che saranno trasmesse da Rai Uno alla fine dell’anno. Abbiamo chiesto al regista bolognese quali sono i motivi per i quali ha voluto immergersi in questo nuovo lavoro televisivo.

R. – Anzitutto il fatto che ieri ha coinciso con la ricorrenza del 48.mo anno di matrimonio e quindi una conoscenza di questo “istituto” profondissima, contrariamente a quello che avviene: si parla molto di famiglia, di matrimoni, di unioni e il più delle volte da parte di chi questo tipo di esperienza e di conoscenza non l’ha vissuta. Poi perché mi sembra che se la famiglia sta vivendo, ormai da decenni, una sua crisi progressiva è un tentativo di essere rimessa continuamente in discussione attraverso interpretazioni, soprattutto alternative, che attengono tutte e comunque a quella forma di relativismo, della quale ha parlato - dal suo primo pronunciamento - Benedetto XVI. Io penso che la crisi del matrimonio sia alla base di questo tipo di interpretazione – a mio avviso – scorretta ed egoistica. Allora occuparsi di matrimonio oggi è sicuramente molto provocatorio; dare il titolo a un lungo racconto – di 600 minuti – appunto “Un matrimonio” e farlo durare cinquant’anni, mi è parsa un’opportunità oggi provvista di senso.

D. - Al Teatro Antico di Taormina ieri sera avrebbe dovuto tessere un omaggio a Lucio Dalla. Quale ricordo ha del celebre cantautore?

R. – I ricordi di chi ha vissuto con Lucio Dalla l’adolescenza: noi abbiamo spartito probabilmente il sogno più grande della nostra vita, che era appunto quello della musica e che poi lui ha visto realizzato. Aveva cinque anni meno di me: era un quattordicenne molto talentuoso; io ero un diciannovenne con un talento molto più contenuto. Per aver spartito lo stesso sogno, nella stessa band, suonando addirittura lo stesso strumento – lui suonava il clarinetto ed io suonavo il clarinetto – ha fatto sì che abbia conosciuto Lucio molto profondamente come essere umano da ragazzino e poi ritrovarlo come un grande poeta, un grande autore, con un successo riconosciuto in gran parte non soltanto d’Italia, ma d’Europa certamente e forse anche del mondo, è assolutamente straordinaria e singolarissima. Tuttavia era rimasto, è rimasto – perché voglio parlarne al presente – quello che era una volta: un ragazzo straordinariamente generoso, con una voglia ancora di pensare che il futuro gli riservasse chissà che cosa… Quindi Lucio, con il quale c’è stato un interscambio frequentissimo, recentissimo – ci chiamavamo la notte e parlavamo a lungo della stagione che ci attendeva e che era poi la terza, la quarta età, l’anzianità, rassicurandoci vicendevolmente – è una delle persone meravigliose che la mia vita mi ha dato modo di incontrare.







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