L'impegno della Caritas di Roma per la salute e l'integrazione dei rom
Sono stati presentati ieri a Roma i risultati del rapporto “La salute per i rom, tra
mediazione e partecipazione”, bilancio del progetto di informazione sanitaria per
rom e sinti coordinato dalla Caritas di Roma in collaborazione con le istituzioni
sanitarie locali. Questa azione, ha spiegato in un messaggio il ministro italiano
per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, aiuta a “spezzare
quel circolo vizioso” che porta a “esclusione” e “autoesclusione”di rom e sinti. Il
servizio è di Davide Maggiore:
Il progetto
ha riguardato in particolare due insediamenti nel Comune di Roma: il grande “villaggio”
di via Candoni, lontano dal cento urbano, e il piccolo campo cittadino di via Ortolani.
Ad abitarli sono rom e sinti provenienti dalla ex-Jugoslavia, che vivono in Italia
da più di 30 anni, in una condizione di forte esclusione sociale. A spiegare le ragioni
di questa scelta è stato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas
diocesana di Roma:
“Come in ogni società ci sono quelli che ce la fanno
e possono essere considerati fortunati, ci sono altri che vivono l’emarginazione nell’emarginazione.
Noi siamo soprattutto vicini a questi ultimi”.
Tra gli interventi effettuati,
ci sono stati: l’apertura nei campi di sportelli di promozione della salute, incontri
di formazione sulla sanità per mamme e bambini, un laboratorio teatrale sui temi della
salute - per i più piccoli – e un corso di formazione per 110 operatori sanitari della
città di Roma. Così la dottoressa Fulvia Motta, responsabile del progetto,
ha riassunto la filosofia complessiva degli interventi:
“Il nostro lavoro
è di orientamento, volto ad aprire le strutture sanitarie per l’accoglienza dei rom
e, nello stesso tempo, volto a spiegare ai rom come utilizzare in modo adeguato le
strutture. Infatti, noi lavoriamo sia sui rom che sul personale sanitario. Un lavoro
con soltanto uno dei due non funziona: bisogna favorire l’incontro, e nel dialogo
cercare insieme dei cammini che siano adeguati per entrambi”.
Questa impostazione,
ha spiegato ancora la dott.ssa Motta, si è tradotta in una precisa scelta:
“Coinvolgere
anche la comunità rom nella promozione della salute, farli sentire protagonisti della
tutela della loro salute, per cui non soltanto offrire servizi e percorsi facilitati,
ma aiutarli a prendersi carico e cura della propria salute”.
Anche la sensibilizzazione
dell’intera società ha naturalmente un ruolo importante. Su questo punto si è soffermato
ancora mons. Feroci:
“Uno degli sforzi che stiamo facendo è quello di far
comprendere anche alla società civile che i nostri fratelli rom hanno dei bisogni
che sono bisogni primari: quelli della salute, dell’istruzione e della casa. Al primo
posto, è ovvio, c’è la salute. Ci sono molti rom che non hanno le vaccinazioni per
i bambini e hanno tante difficoltà per accedere ai servizi sanitari. Il nostro sforzo
è quello di far comprendere alla nostra società i bisogni di questa popolazione e
rispondere”.