Sla: per la prima volta un trapianto su un uomo di cellule staminali del cervello.
L’intervista con il coordinatore dello studio, Angelo Vescovi
Per la prima volta al mondo sono state trapiantate in una persona colpita da Sclerosi
Laterale Amiotrofica cellule staminali del cervello, prelevate da un feto morto per
cause naturali. L’intervento, avvenuto l’altro ieri ma di cui è stata data notizia
oggi, è stato condotto da un’equipe coordinata da Angelo Vescovi, direttore dell’ospedale
Casa Sollievo della Sofferenza, a San Giovanni Rotondo. Le cellule staminali sono
state impiantate nel midollo spinale di un uomo di 31 anni che si è risvegliato ed
è in buone condizioni. La ricerca è stata sviluppata dall’Associazione Neurothon
Onlus. Sentiamo lo stesso professor Angelo Vescovi nell’intervista di Debora
Donnini:
R. –L’operazione,
per quanto riusciamo a dire attualmente, è andata piuttosto bene. Essenzialmente si
tratta di coordinare tre equipe, una che è nella self-factory, dove vengono prodotte
le cellule, che quindi deve cominciare a preparare le cellule per l’intervento, perché
una volta pronte per essere messe nell’ago le cellule tendono a morire; una equipe
sta in sala operatoria per caricare l’ago con cui verranno iniettate e la terza equipe
è quella dei neurochirurghi. L’intervento essenzialmente consiste nell’aprire parte
della colonna vertebrale e inserire questo sottilissimo ago, che contiene queste cellule
staminali cerebrali, che sono state precaricate, e iniettare le cellule in tre punti
del midollo spinale lombare, solo da una parte - in questo caso la parte sinistra
– e soprattutto nella parte anteriore, dove ci sono le cellule che muoiono di questa
malattia, che si chiama motoneuroni. La malattia è la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
D.
– Con questa tecnica sperate, dunque, di ottenere un rallentamento della morte dei
motoneuroni, che porta progressivamente alla paralisi dei pazienti. E’ così?
R.
– Esattamente. Ovviamente la sperimentazione è una sperimentazione di fase 1 e quindi
una sperimentazione che nella forma e, ovviamente, anche in parte nella sostanza,
è finalizzata a vedere che la tecnologia utilizzata, quindi la preparazione delle
cellule, il trapianto delle cellule nella chirurgia, non provochino danni al paziente.
Ovviamente si mettono queste cellule a ridosso dei motoneuroni, che tendono a morire
nei pazienti Sla, con la speranza di rallentarne o addirittura bloccarne la morte.
Questa, però, è una sperimentazione, non è una cura e la sua finalità non è nemmeno,
in teoria, di vedere effetti neurologici, ma di verificare che la procedura sia sicura
per il paziente. E’ chiaro che inevitabilmente poi vai a valutare gli effetti neurologici.
D. - Con questa tecnica, se tutto dovesse andare a buon fine, qual è l’obiettivo
realistico cui si può arrivare: a rallentare la malattia?
R. – L’obiettivo
vero è quello ovviamente almeno di cercare di rallentare la malattia o addirittura,
se si potesse, di riuscire a fermarla. Questo, però, sarebbe un po’ miracoloso. Tenga
presente che è una malattia che attualmente non ha cura, quindi non è nemmeno rallentabile.
D.
– Questa è una tecnica che voi avete usato, messa a punto da lei, che impiega cellule
staminali provenienti da un frammento di tessuto cerebrale, prelevato da un singolo
feto deceduto per cause naturali…
R. – Esattamente. Per noi un feto è un individuo
in tutto e per tutto, un essere umano, e come tutti gli esseri umani può morire per
cause totalmente naturali ed esattamente come gli esseri umani, quelli adulti, fanno
la donazione di organi, si chiede un permesso – in questo caso si chiede il permesso
ai genitori - di prelevare un frammento cerebrale e da quel piccolo frammento, più
o meno grosso, in realtà, si estraggono queste cellule staminali; la tecnica permette
poi di moltiplicarle in grandissimo numero, così che un piccolo frammento di tessuto,
che di per sé non basterebbe nemmeno per trapiantarlo in un paziente, può essere sufficiente
a generare cellule per centinaia di pazienti, fra l’altro tutte uguali e dal comportamento
prevedibile, e senza problemi ovviamente etici di alcuna natura, perché è proprio
il processo che si utilizza per la donazione di organi.
D. – Quindi, è una
ricerca che rispetta criteri etici di rispetto pieno della dignità dell’essere umano
dal concepimento alla morte naturale?
R. – Questa è sempre stata la mia tesi,
come quella di altri: la vita umana inizia all’atto del concepimento e finisce con
la morte. Nell’intervallo che si chiama vita esistono gli esseri umani, che poi siano
embrioni, feti o esseri adulti hanno la stessa dignità di vita e deve essere sempre
rispettata. Questo è il tipo di approccio che permette di rispettare completamente
la vita, a qualunque stadio di sviluppo, però permette anche di fare ricerca, nel
rispetto dell’etica e della morale cattolica.
D. – Come funziona questo studio
che state portando avanti, perché voi farete altri impianti su altri 17 pazienti...
R.
– Giusto, è corretto. Questo è il primo di 18 pazienti in totale. Sono divisi in quattro
gruppi: il primo gruppo è quello che, come questo paziente, riceverà tre iniezioni
nel midollo spinale, solo da una parte – in questo caso era la parte sinistra - a
livello lombare; il secondo gruppo riceverà sei iniezioni, tre a sinistra e tre a
destra allo stesso livello; il terzo gruppo tre iniezioni ad un livello più alto,
un po’ sotto il collo per intenderci, quindi a livello cervicale, nel midollo spinale;
e il quarto gruppo sei iniezioni sia a sinistra che a destra, sempre nel midollo cervicale.
E
appena saputa la notizia Debora Donnini ha chiesto un commento al presidente
di Scienza e Vita, Lucio Romano:
“Alla luce
di quanto divulgato dalle agenzie, il prelievo di cellule staminali, da un feto abortito
spontaneamente, risponderebbe a criteri di eticità. E’ una ricerca in fase iniziale,
appena in fase uno, che sicuramente non svolge ancora un’azione chiaramente di ordine
terapeutico e quindi richiede cautela, per quanto riguarda anche i risultati che ne
potranno derivare, ma è sicuramente un’apertura di speranza”.