Egitto. Morsi avvia i colloqui per la formazione del nuovo governo
Il premier italiano Monti ha telefonato al neo presidente egiziano Morsi per congratularsi
e ha sottolineato le grandi aspettative della comunità internazionale sul ruolo che
intenderà giocare nel guidare l'Egitto verso il completamento della transizione democratica,
nel pieno rispetto dei diritti dell'individuo e delle minoranze religiose e nella
promozione del pluralismo politico. Intanto Morsi ha avviato i colloqui per la formazione
del governo. L’attenzione è puntata soprattutto sulla nomina del primo ministro. Resta
tuttavia da risolvere la difficile questione istituzionale del Paese, che vede il
potere legislativo ancora nelle mani della giunta militare. Sul nuovo assetto della
politica egiziana, Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu,
docente di storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. – Il Consiglio
supremo militare ha preventivamente sciolto il Parlamento e quindi dovranno o rieleggerlo
o convalidarlo; il Consiglio militare ha anche anticipato, con un forte emendamento,
quello che sarà scritto nella Costituzione: da questo momento in poi, queste forze
dovranno lavorare insieme e soprattutto dovranno posizionarsi in modo migliore quelle
forze centriste moderate, liberali e innovatrici che non sono riuscite a vincere le
elezioni perché erano troppo divise. Però d’ora in poi l’Egitto entra nella democrazia.
D. – La giunta militare, tuttavia, pur congratulandosi e riconoscendo la vittoria
di Morsi ha detto che bisogna lavorare per la riconciliazione. Suona quasi più una
minaccia nei confronti dei Fratelli Musulmani, che sono ancora in piazza, piuttosto
che un invito…
R. – E’ minaccia residua, però, perché l’esercito egiziano tutto
può fare, ma non sparare sulla piazza: qui non siamo in Siria! Inoltre l’esercito
egiziano è tenuto con una sorta di “guinzaglio economico” dagli americani, che vogliono
assoluta stabilità in un Paese che deve essere stabile e poi ricordiamo che anche
il nuovo presidente ha un suo "lato americano": ha studiato negli Stati Uniti, ha
due figli che sono cittadini americani e quindi per essere un Fratello musulmano tutto
è fuorché un islamista senza alcun limite.
D. – Morsi ha parlato subito dell’importanza
dell’Iran e del dialogo con l’Iran per garantire un equilibrio strategico; allo stesso
tempo ha ricevuto gli auguri e i complimenti del presidente Obama. Il nuovo Egitto
potrà essere effettivamente un punto di contatto tra Stati Uniti e Teheran?
R.
– L’Egitto è, nella sua lunga storia e soprattutto nell’ultimo secolo, uno dei Paesi
più importanti, se non il più importante, del Medio Oriente: ha sempre avuto un forte
ruolo di leadership, anche ai tempi di Nasser aveva un ruolo di neutralismo e terzomondismo
che era assai importante. Se l’Egitto - il nuovo Egitto - riuscirà a stemperare alcune
tensioni, a bilanciare il rancore che l’Arabia Saudita ha verso l’Iran e a riportare
l’Iran in un discorso generale, tutti ci guadagneranno e anche gli americani.
D.
– Alla fine, in sostanza, si può dire che è un po’ il paradosso del Medio Oriente
è che la promessa di stabilità arriva proprio attraverso quei partiti islamici che
facevano tanto paura all’Occidente?
R. – I Fratelli musulmani, per essere islamici,
sono molto sui generis: sono egiziani e l’islam egiziano è sempre stato moderato rispetto
ad altre versioni di islam. Quindi non deve farci paura! Inoltre per molti anni Fratelli
Musulmani ed esercito hanno - in qualche modo – trattato, anche quando i Fratelli
Musulmani stavano in galera. Quindi troveranno altre strade, anche perché l’Egitto
ha bisogno di stabilità e i Fratelli Musulmani saranno molto pragmatici. Questo presidente
ha un vantaggio: è un presidente abbastanza anonimo, non è era il candidato favorito
della prima ora dei Fratelli Musulmani, e quindi non ha molto da pagare al suo passato,
ma deve soltanto in qualche modo inventarsi un futuro, soprattutto per l’economia.
D. – Uno dei nodi che dovrà sciogliere il presidente è anche quello dei rapporti
con le minoranze religiose, in particolare cristiane, presenti nel Paese. Se la saprà
cavare?
R. – Penso di sì. Questo suo aspetto occidentale depone molto bene.
D’altra parte i cristiani sono preoccupati soprattutto da alcuni aspetti, su cui si
può discutere, ma se l’economia dell’Egitto ricomincia a marciare, tutti ne avranno
beneficio e questo alleggerirà automaticamente molte tensioni politiche.
D.
– L’Egitto, capofila dei Paesi della cosiddetta “primavera araba”: i Fratelli Musulmani
con questo successo possono sperare anche di allargarsi agli altri Stati nord africani?
R.
– L’Egitto ha sempre avuto una doppia funzione di leadership più verso il Medio Oriente
asiatico, che non verso il Nord Africa in senso stretto. Però è sempre stato, o perlomeno
lo è stato nel periodo Nasser e Sadat, un Paese assai importante, entrato in decadenza
politica – curiosamente – con il Trattato di pace con Israele. Se manterrà ora questo
suo ruolo determinante in modo nuovo, probabilmente diventerà un Paese leader, anche
come esempio verso quei Paesi – come la Siria – che invece stanno andando in tutt’altra
direzione.