Guinea Bissau, le lenta strada verso la democrazia sotto il controllo della Cedeao
La Guinea Bissau, a oltre due mesi dal colpo di Stato del 12 aprile, attraversa una
delicata fase di passaggio. Nelle scorse settimane, le truppe angolane presenti nel
Paese da oltre un anno, hanno lasciato il posto a una missione internazionale africana
incaricata di garantire la transizione. Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente
a Bissau Matteo Ghiglione, cooperante dell’ong Engim, dei Missionari del Murialdo,
per tracciare un quadro della situazione:
R. - La vita
ha ripreso a scorrere nella sua normalità, con i suoi problemi quotidiani e le sue
difficoltà, che sono molte. C’è un problema a livello di ministeri e uffici pubblici,
perché tutto si è fermato per diverse settimane e ancora adesso le cose non stanno
scorrendo normalmente. Il nuovo governo ha cambiato tutte le cariche pubbliche e questo
sta creando dei problemi. La situazione politica e militare invece rimane, secondo
me, ancora tesa. I problemi non sono affatto risolti, La gente, sì, può muoversi liberamente,
ma non sono accettate le manifestazioni: ci sono stati alcuni casi di giovani che
hanno tentato di radunarsi per contestare il golpe, i golpisti, ma i militari sono
immediatamente intervenuti per bloccarli. Questo diritto è quindi tuttora sospeso.
D.
- Storicamente, l’esercito in Guinea Bissau ha un grande potere, ma in questo momento
nel Paese sono presenti anche truppe di una missione internazionale della comunità
economica degli Stati dell’Africa Occidentale. Quali sono le relazioni tra queste
due forze?
R. - Questi militari, che sono arrivati, non hanno grandi mezzi.
Pare addirittura che alcuni siano stati messi in caserme intorno a Bissau, dove le
condizioni strutturali sono veramente pessime. Per questo ci sono stati dei problemi,
perché queste truppe della Cedeao sembra non stiano apprezzando particolarmente le
risorse che hanno ed è ancora da capire bene il ruolo che stanno giocando. Quando
si parla di militari della Giunea Bissau, è difficile definire una chiara linea, è
difficile capire come i militari stiano muovendosi, anche perché al loro interno pare
siano divisi.
D. - Sotto varie forme, l’instabilità del Paese dura però da
decenni. Quali sono, in una situazione simile, le priorità della popolazione?
R.
- Sicuramente, per la gente sono la scuola e l’aspetto sanitario. Ci sono delle iniziative
di giovani che hanno iniziato a incontrarsi, a organizzare incontri di formazione
fra loro per accompagnare questa fase e arrivare - da qui ad un anno - alle prossime
elezioni. Per certi versi, quindi, la società civile si muove - sempre con difficoltà
per mancanza del diritto di espressione - ma ci sono associazioni di giovani che si
stanno organizzando.
D. - Un miglioramento delle condizioni sanitarie e dell’alfabetizzazione
può indirettamente influire in positivo sulla stabilità del Paese?
R. - Sì,
io credo siano i due punti su cui lavorare e spendersi, anche a livello di cooperazione.
Ci sono alcune iniziative che davvero meritano di essere accompagnate, soprattutto
quelle che appoggiano le scuole, la formazione delle donne… In una forte instabilità
politica, il lavoro diventa ancora più difficile e rischia solo di tradursi in aiuto
e risoluzione dell’emergenza. La cooperazione deve saper superare questo per porsi
in una logica di sviluppo.