Il cardinale Bertello all'Eremo di Camaldoli di Arezzo per celebrare il millennio
di fondazione
Giornata solenne ieri, all’Eremo di Camaldoli di Arezzo, dove l’inviato speciale del
Papa, il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della
Città del Vaticano, ha presieduto le celebrazioni per il millennio di fondazione del
Sacro Eremo, ad opera di San Romualdo abate. Il priore generale dell’Ordine, dom
Alessandro Barbàn, racconta al microfono di Alessandro De Carolis la preparazione
con cui la comunità dei monaci si è apprestata a questo importante traguardo storico
e spirituale:
R. – Ci siamo
preparati rimanendo fedeli, in qualche modo, alla nostra regola monastica, ravvivando
dentro la nostra comunità, dentro le nostre comunità, il senso di appartenenza e di
riscoperta del nostro carisma monastico, nella dinamica tra monastero ed eremo: qui
a Camaldoli abbiamo il monastero a 800 metri e l’eremo a 1.100 metri. Siamo dunque
un’unica comunità e quindi ci ritroviamo in comunità, continuando a pregare insieme,
continuando la nostra vita e soprattutto approfondendo il carisma di Romualdo. In
qualche modo Romualdo ci ha aiutato a ritrovare il senso del nostro essere monaci
camaldolesi.
D. – In questo orizzonte del millenario si colloca la visita che,
lo scorso marzo, Benedetto XVI ha voluto rendere alla vostra comunità di San Gregorio
al Celio. Cosa conserva di quella giornata?
R. – Sua Santità ha voluto celebrare
con noi questo millenario e non potendo venire qui a Camaldoli, ci ha raggiunto nella
nostra Basilica a Roma, a San Gregorio al Celio. Abbiamo celebrato insieme i Vespri
e poi siamo stati insieme a cena. È stato un momento di grande fraternità e di grande
incontro - diciamo così - molto “monastico”, perché il Papa ha dei tratti molto monastici.
C’è stata una conversazione molto fraterna, molto sincera e molto profonda tra il
Papa e noi e tra noi e il Papa.
D. - Mille anni di storia dello spirito sono
un arco di tempo così vasto, che credo molte siano le chiavi di lettura di questo
traguardo…
R. – Anzitutto, la tradizione romualdina e camaldolese è ricordata
nella Chiesa per la riforma eremitica: accanto al dato cenobitico della vita monastica,
Romualdo ha voluto anche aggiungere l’Eremo. Nell’Eremo c’è la dimensione del silenzio,
della solitudine, ma non è un eremo staccato, in qualche modo, dalla vita della Chiesa
o dalla vita della società. Dobbiamo ricordare che la presenza monastica camaldolese
è una presenza incarnata nella storia, accanto agli uomini, ma soprattutto dentro
la Chiesa, al servizio della Chiesa, con la preghiera e con l’ospitalità.
D.
- Cosa rappresenta il carisma camaldolese nella Chiesa di oggi?
R. - Io credo
che la dimensione che ci caratterizza oggi dopo mille anni – già presente sin dall’inizio,
anche se in embrione, ma oggi più evidente e rilevante – sia proprio l’accoglienza.
In tutte le nostre foresterie, specialmente qui a Camaldoli, noi abbiamo sempre accolto
le persone. E non si tratta di accoglienza semplicemente perché diamo una camera e
basta: c’è una proposta culturale, c’è un proposta teologica, c'è una proposta di
cammino insieme.
D. – Quindi, voi siete testimoni diretti che l’indifferenza
religiosa non è quel muro imperforabile, come talvolta si crede…
R. - Noi stiamo
registrando un interesse nei confronti della vita monastica. La gente credo che oggi
sia sola, abbandonata un po’ a se stessa, smarrita nei valori e ha quindi bisogno
di trovare delle radici, di fare delle esperienze di preghiera, di lettura della Sacra
Scrittura, di approfondimento, soprattutto un’esperienza di comunità. Queste dimensioni
che proponiamo vengono sempre molto apprezzate dalle persone, che quando poi vanno
via dicono: ci avete insegnato a pregare, abbiamo capito qualcosa di più del dono
di Dio, abbiamo compreso di più qualcosa della nostra fede cristiana. Credo che questi
siano elementi molto importanti del nostro servizio.