Egitto. Attesa per l'esito delle presidenziali. I militari varano il Cnd
Resta alta la tensione in Egitto dopo il ballottaggio per le elezioni presidenziali
di sabato e domenica. Sia il candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, sia
l’uomo del vecchio regime, ovvero l’ex premier Ahmed Shafiq, si sono dichiarati in
vantaggio. Intanto, anche se il Consiglio supremo delle Forze armate ha assicurato
che cederà il poteri al neopresidente il 30 giugno, è scontro istituzionale con i
militari che definiscono i contorni dei poteri del nuovo Capo dello Stato, del nuovo
parlamento e dell'Assemblea costituente. Ieri, il capo del Consiglio militare egiziano,
Hussein Tantawi, ha adottato un decreto per la formazione di un "Consiglio nazionale
di difesa" composto dal capo di stato maggiore delle forze armate e da nove comandanti
interforze, dal capo dei servizi militari e delle operazioni militari. Massimiliano
Menichetti ha parlato della situazione con il prof. Massimo Campanini,
docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:
R. - Sin dall’inizio,
i militari hanno cercato di condizionare il processo rivoluzionario e hanno cercato
di incanalarlo in binari che fossero di difesa del vecchio regime e delle vecchie
strutture di potere. Quello che stanno facendo i militari è un vero e proprio colpo
di Stato, che priva la rivoluzione egiziana della sua capacità di modificare effettivamente
le strutture istituzionali e costituzionali dello Stato in nome di una stabilità che
sa di vecchio e di stantio. Questo lascia spazio ai Fratelli musulmani per affermare
- in primo luogo - di essere loro i protagonisti effettivi del cambiamento e di poter
rivendicare la possibilità di agire su quelle leve che potrebbero imprimere allo Stato
egiziano una vera svolta dal punto di vista istituzionale.
D. - Professore,
molti sottolineano che i militari hanno un peso non soltanto politico, ma in realtà
detengono anche dei gangli vitali dal punto di vista economico…
R. - L’esercito
in Egitto è una grande potenza economica, soprattutto dal punto di vista industriale
e commerciale. Quindi, certamente, una delle motivazioni più forti che guidano i militari
è quella di difendere e confermare questo tipo di privilegi.
D. - C’è spazio
per le forze laiche di sinistra in questo contesto?
R. - Direi di no, anche
perché “la Piazza Tahrir” si è svuotata e quelli che erano stati i protagonisti di
quei tumulti che avevano prefigurato la democrazia diretta sono stati superati dalla
forza e dall’evoluzione degli avvenimenti. Forza ed evoluzione degli avvenimenti che
non hanno soltanto un’energia intrinseca, ma che sono - secondo me - assolutamente
determinati dalla volontà popolare. Il popolo egiziano è un popolo fondamentalmente
conservatore e il fatto di aver portato al ballottaggio Shafiq da una parte, che è
un volto del vecchio regime, e Mursi dall’altra, che garantisce una continuità intellettuale,
religiosa, morale con l’anima egiziana, secondo me è assolutamente indicativo che,
se la rivoluzione c’è stata, ha fatto il proprio tempo.
D. - E qual è il ruolo
dei copti?
R. – Stupisce che certe forze interne preferiscano tornare al passato,
piuttosto che rischiare il nuovo. E’ evidente che i copti abbiano timore che una presa
del potere dei Fratelli musulmani trasformi l’Egitto in uno Stato islamico. Però,
rischiare di tornare assolutamente al passato, a un regime di polizia - come era quello
dell’epoca di Mubarak - senza dare una chance ai musulmani moderati di tenere in mano
le redini del governo dell’Egitto, mi sembra una scelta di retroguardia che per il
futuro del Paese potrebbe essere perdente. Forse, se avessero un po’ più di coraggio,
potrebbe essere anche l’occasione di una svolta autentica all’interno della vita politica
del Paese.
D. - C’è l’eventualità, secondo lei, di una nuova Piazza Tahrir,
di nuovi sommovimenti?
R. - Ora, le forze che sono già emerse - cioè i militari
e tutte quei gruppi che sostengono un blocco comunque evolutivo del processo politico
e, dall’altra parte, i Fratelli musulmani - potranno essere loro a occupare la piazza.
Non tanto quei rappresentanti che avevano fatto di Piazza Tahrir un simbolo delle
rivolte arabe nello scorso anno. Io credo che una nuova Piazza Tahrir, come quella
di febbraio-marzo 2011, non la vedremo più.