Al via il vertice "Rio+20", alla ricerca di uno sviluppo sostenibile
Si è aperto ieri a Rio de Janeiro, il vertice “Rio+20”, la Conferenza Onu sullo sviluppo
sostenibile, a 20 anni dal primo Summit della Terra, tenutosi nel 1992 nella città
brasiliana. Al vertice sono presenti rappresentanti di governi ma anche della società
civile e delle religioni. Anche la Santa Sede è presente all'incontro con una delegazione
guidata dal cardinale arcivescovo di San Paolo, Odilo Scherer. Alessandro Gisotti
ha chiesto al direttore della rivista dei gesuiti “Popoli”, Stefano Femminis,
quali risultati si possono attendere da questo vertice:
R. – Sicuramente,
la situazione ambientale del pianeta sarebbe peggiore senza questi vertici. Quindi,
chi liquida questi incontri come inutili dovrebbe forse riflettere sul fatto che,
comunque, si tratta di appuntamenti importanti. Quello di Rio è, di fatto, l’incontro
a livello mondiale più importante del 2012, con oltre 100 capi di Stato e di governo,
ma poi anche esperti, ong, imprenditori, esponenti della società civile e delle religioni.
Detto questo, bisogna però obiettivamente aggiungere che le attese sono quanto mai
basse. E’ già indicativo che mancheranno alcuni capi di Stato dei Paesi più ricchi,
di molti Paesi europei, e gli stessi Stati Uniti saranno assenti. Più in generale,
cosa è successo in questi anni che separano questo incontro da quello del ’92 di Rio?
Intanto, sono emersi i cosiddetti "Bric", cioè il Brasile, la Russia, l’India e la
Cina, ma anche altri Paesi emergenti, che, da un lato, ovviamente hanno avuto il merito
di rompere il monopolio di un pianeta dominato da uno o pochi Paesi, ma dall’altro
lato il risultato è stato che è ancora quanto mai in voga il principio, il dogma della
crescita economica a qualunque costo, anche a costo di danneggiare l’ambiente, di
danneggiare il pianeta. Questo è un primo problema.
D. – Si parla molto – pensiamo
anche ad Obama – di “green economy”. Questa rivoluzione verde dell’economia non sembra
però decollare. Anche qui ci sono forse degli interessi confliggenti...
R.
– L’economia verde, o “green economy” per dirla all’inglese, è un po’ il nuovo paradigma
economico, strumento attraverso cui risolvere anche il problema attuale di base, la
crisi economica globale. Ora, bisogna capire appunto quali sono i criteri di questa
economia verde, quali sono i paletti, perché esiste il pericolo che per inseguire
questa crescita, legata alla “green economy”, si perdano per strada quei criteri,
quelle regole legate all’equità sociale. Lo vediamo nella concretezza, in casi come
quello del Brasile, che è certamente un Paese che per il fatto di avere da diversi
anni un governo progressista, con anche alcune personalità ambientaliste, le quali
hanno occupato dei ruoli chiave, certamente ha sviluppato una politica attenta all’ambiente,
almeno a livello teorico. Poi, però, in nome dell’economia verde vengono proposti
progetti come quello della diga di Belomonte, che produrrà sì energia pulita, ma a
rischio di cancellare i diritti e la stessa sopravvivenza di una quantità di persone
che risiedono in quella zona, popolazioni indigene totalmente inascoltate.
D.
– La Chiesa brasiliana, in realtà la Chiesa di tutta l’America Latina, è tradizionalmente
impegnata sui temi della difesa dell’ambiente, anche perché la salvaguardia del Creato
si accompagna alla protezione dei più deboli, delle popolazioni indigene...
R.
– Sì, la Chiesa brasiliana si è mobilitata, certo non solo per questo Summit, a difesa
dell’ambiente, che significa soprattutto, in ottica cristiana, difesa dell’uomo. Quindi,
sì, la Chiesa si sta mobilitando, si è mobilitata, e aggiungo anche che, in particolare,
ci sarà una rappresentanza di Gesuiti al vertice di Rio. Il contributo, di fatto,
che i credenti possono dare nella riflessione e anche nell’azione rispetto alla difesa
dell’ambiente è un contributo decisivo.