Corea del Nord: più di 200mila persone condannate a morire nei gulag
Almeno 200mila persone sono rinchiuse nei campi di lavoro del regime della Corea del
Nord. Di questi, circa il 20 % è di fede cristiana e vive nei campi da più di un decennio.
Inoltre, molti dei detenuti non hanno alcuna speranza di uscire vivi da questa situazione,
dato che secondo l'ideologia coreana un criminale rimane tale "per almeno 3 generazioni".
È quanto emerge dalla testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito comunista
coreano fuggito in Occidente e convertito al cristianesimo. Secondo i dati in suo
possesso, nel Paese sono in attività 6 campi di lavoro. Di questi il più temibile
è il Campo 14, conosciuto come Distretto di controllo totale: da questo posto, dove
vivono come schiavi almeno 50mila prigionieri, non si può uscire vivi. Esiste poi
il Campo 22, di un'estensione pari a quella di Los Angeles, dove si praticano esperimenti
sui prigionieri. Anche qui, i detenuti sono circa 50mila. Infine c'è il Campo 25,
gestito dalla polizia segreta, dove sono imprigionati leader religiosi e presunte
spie occidentali. Sono pochissimi, secondo Jo, i nordcoreani che sono sopravvissuti
a questi campi. La media delle sentenze imposte ai prigionieri è pari a 15 anni, ma
il carico di lavoro e le torture contro i detenuti abbassano la media dell'aspettativa
di vita a 7 anni. Nei Campi - riferisce l'agenzia AsiaNews - a volte vengono rinchiuse
intere famiglie, che di fatto il regime usa come schiavi per la produzione industriale
pesante e per l'estrazione di carbone. Dopo la Guerra coreana (1950-1953), Kim Il-sung
- primo presidente e "padre della patria" nordcoreana - ha deciso l'apertura dei campi
di lavoro per tenere sotto controllo, sfruttandoli dal punto di vista lavorativo,
i soldati del Sud arrestati nel corso del conflitto. Nel giro di 5 anni, però, i Campi
hanno iniziato a riempirsi di dissidenti politici e contestatori: i più colpiti sono
stati i leader religiosi e i fedeli, soprattutto cristiani, che si opponevano al regime.
Secondo alcuni dati pubblicati nel 2008, nei Campi erano imprigionate circa 900mila
persone. Il calo drastico del numero deriva dal fatto che la carestia del 2009 ha
decimato la popolazione carceraria, del tutto ignorata dal punto di vista umanitario
dal regime comunista. (R.P.)