Un dipartimento dedicato allo sport: iniziativa del dicastero della Cultura in
sinergia col dicastero per i Laici
“Uno sport per l’uomo aperto all’Assoluto”: è il tema di un convegno tenutosi ieri
mattina in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura. Nell’occasione,
è stato lanciato il nuovo Dipartimento del dicastero, dedicato a “Cultura e sport”,
che opererà in stretta collaborazione con la sezione “Chiesa e sport” del Pontificio
Consiglio per i Laici, e con la Fondazione “Giovanni Paolo II” per lo sport. Luca
Collodi ha parlato di questa inedita iniziativa con il cardinale Gianfranco
Ravasi, partendo dall’attualità sportiva dei Campionati europei di calcio:
R. - Non sono
un tifoso e quindi in questo caso non posso dare un giudizio su questa realtà che
però considero certamente significativa per le reazioni che crea. Queste reazioni
hanno almeno due volti; da un lato affascina vedere questa tensione che un orizzonte
ampio come quello dei tifosi ha nei confronti di queste figure, che sono le figure
degli sportivi; ma dall’altro lato impressiona e atterrisce quando si vede la degenerazione
che coloro che partecipano al tifo hanno, arrivando fino al punto di dimenticare la
propria identità umana.
D. - La Chiesa da tempo si occupa di sport, basta pensare
alle parrocchie e agli oratori. Il Pontificio Consiglio della Cultura come si inserisce
in questo cammino?
R. - Si inserisce almeno a tre livelli diversi. Il primo
è quello di una riflessione di ordine generale sul significato culturale dello sport,
essendo una delle grandi esperienze fondamentali dell’umanità. In secondo luogo, si
tratta di un fenomeno che coinvolge un numero enorme di persone, soprattutto di giovani,
i quali hanno un’esperienza che purtroppo alcune volte è soltanto “sportiva”, soltanto
“atletica” e non anche umana come dovrebbe essere e come avveniva nella cultura greco-romana,
come avveniva anche nella stessa testimonianza del Nuovo Testamento, quando Paolo
parla dello sport per ragioni di tipo ascetico, spirituale e persino teologico. La
terza ragione è legata al fatto che nell’interno dell’esperienza dello sport si ha
la possibilità di una crescita anche personale, umana, che non è soltanto fisica ma
anche interiore e che viene spesso dimenticata, cioè è un momento di educazione. Per
queste ragioni è un fenomeno non soltanto pastorale ma direi globalmente umano.
D.
- Lo sport oggi è un fenomeno gestito dall’economia più che dalla cultura…
R.
- E’ fuor di dubbio che tutta l’esperienza umana ha anche una dimensione concreta
e quindi economica, però purtroppo, soprattutto in alcuni sport, dobbiamo dire non
in tutti, è diventato ormai la componente dominante, il filo d’oro che unisce quasi
tutto l’interesse per certi tipi di sport, pensiamo al calcio. Dall’altra parte però
bisogna anche riconoscere che esistono molti altri sport che non sono così vincolati
dall’economia. Dobbiamo cercare di far sì che torni ancora l’idea del gratuito, cioè
della libera creatività del gioco in tutto il suo splendore, che è tipico, già spontaneo,
del bambino quando si affaccia al mondo e comincia a giocare, che è una manifestazione
anche di poesia e di creatività.
D. - Oggi chi fa sport vuole vincere. Voi
educherete anche alla sconfitta?
R. - La vittoria certamente è un elemento
positivo, non dobbiamo considerarla soltanto come una prevaricazione. La vittoria
vuol dire da una parte riuscire ad avere una meta alta da raggiungere verso la quale
si tende con tutti se stessi ma, dall’altra parte, vincere tante volte è anche soltanto
conquistare gradi diversi, non raggiungere l’apice che viene presentato e che è possibile
soltanto in alcuni casi. Ed è per questo che allora è indispensabile anche creare
l’idea della gradualità, del come è possibile essere nell’interno di una gara partecipando
attraverso forme che non comportano la "medaglia terminale" ma che comportano risultati
diversi. La vittoria deve sempre unirsi al senso del limite della incompiutezza che
ha sempre la creatura umana e che purtroppo non si vuole riconoscere, ed ecco il ricorso
al doping, a queste forme artificiose che in realtà devastano sia il concetto di vittoria,
sia il concetto di uomo e donna.