Siria: il nuovo capo dell'opposizione anti-Assad invoca defezioni e intervento internazionale
In Siria non si arresta la violenza. Ancora sotto bombardamento la città di Homs tutt’ora
in mano ai rivoltosi, che sono riusciti a penetrare comunque nella provincia filo-Assad
di Lattakia. L'Osservatorio siriano dei diritti umani denuncia che, in tre giorni,
83 civili sono morti a causa degli scontri, oltre 14mila dall'inizio della rivolta,
15 mesi fa. E mentre la Comunità Internazionale, sempre più allarmata, è divisa su
un intervento militare, c’è la conferma che il capo della diplomazia russa, Serghiei
Lavrov, si recherà dopodomani in Iran per discutere con i dirigenti del Paese anche
della situazione in Siria. Intanto, il nuovo leader del Consiglio nazionale siriano,
il curdo Abdel Basset Sayda, eletto ieri, chiede ai responsabili delle istituzioni
di abbandonare il regime e invoca l’uso della forza da parte della Comunità Internazionale.
Massimiliano Menichetti ha parlato del ruolo dei curdi e del neoeletto Sayda
con Alberto Rosselli giornalista ed esperto dell’area:
R. – Il ruolo
dei curdi è duplice, nel senso che si intreccia in qualche modo con quelli che sono
i rapporti fra Siria e Turchia, e sono circa un milione i residenti sul territorio
siriano, quindi una presenza del 10% della popolazione. Sayda è un esponente che ha
avuto dei rapporti piuttosto duri con i regimi siriani, in quanto è stato in esilio
in Svezia diversi anni. Si appellerà in qualche modo agli organismi internazionali,
ma ha anche aggiunto che sarà una sua priorità quella di intraprendere colloqui con
altre figure dell’opposizione curda - che è molto variegata, - per includerle nel
Consiglio nazionale siriano (Cns).
D. – Cns, che al proprio interno non ha
proprio una situazione stabile…
R. – E’ accusato da molti curdi di essere praticamente
dominato dalla fazione islamica filo-turca, e sappiamo anche che tra gli 11 partiti
curdi - che non hanno aderito al Consiglio nazionale siriano, una piattaforma fatta
praticamente in Turchia - c’è anche il cosiddetto Pyd – sezione siriana del Pkk -
che è il partito dei lavoratori del Kurdistan. Il problema è la variabile Pkk: è considerata
un’organizzazione terroristica, come si sa in Turchia e non accetta alcuna forma di
collaborazione con Ankara.
D. – Se da una parte i curdi vivono questa frammentarietà,
dall’altra Damasco ha giocato una carta di alleggerimento.
R. – Damasco ha
alleggerito leggermente la mano su quella che è la minoranza curda - residente nella
zona nordorientale - nonostante ci siano stati attentati e via dicendo. Ma questo
fa parte anche un po’ di questo gioco a scacchi, che c’è fra la Siria e la Turchia.
Diciamo che i rapporti fra i curdi delle varie fazioni, sia quelle che hanno aderito
al Cns, sia quelle che sono rimaste fuori dal Cns, dipendono anche in qualche maniera,
o si intrecciano, nei rapporti fra Damasco ed Ankara. E’ una situazione estremamente
complicata.
D. – Questa situazione, in estrema evoluzione, potrebbe portare
anche ad ulteriori spezzettamenti sul fronte curdo?
R. – Il frazionamento è
già avvenuto con la nuova adesione degli 11 partiti curdi al Cns. Potrebbe avvenire
un’ulteriore spaccatura, all’interno degli 11 partiti che non hanno aderito al Cns,
in merito ad un possibile ricucire dei rapporti con il nuovo neo eletto, che sta facendo
un lavoro - pare in queste ultime ore - di ricucitura, anche con gli esponenti dei
partiti che non hanno aderito.
D. – Nei confronti del regime Assad; Sayda ha
preso una posizione abbastanza netta: da una parte chiede defezioni, chiede di lasciare
Assad solo, dall’altra invoca nella comunità internazionale, un’azione di fatto che
metta in campo la forza. Sarà poi verosimile un intervento armato?
R. – Un
intervento armato lo reputo abbastanza remoto per il momento: nessuno vuole "scottarsi
le dita" in Medio Oriente: né gli Stati Uniti, né la Russia, né la Cina e neanche
lo stesso Israele. Io credo che in questo momento gli analisti di questi Paesi stiano
studiando abbastanza al microscopio quella che è la situazione, cercando di trovare
un bandolo della matassa che possa evitare un intervento. Certo è che se dovessero
scoppiare di nuovo delle repressioni, come la violenza degli ultimi mesi, la Comunità
Internazionale in Siria dovrà fare qualcosa. Lì bisogna vedere quale sarà il ruolo
che vorrà ogni singola potenza, che è in qualche modo interessata all’arena mediorientale
e quale rischio vorrà anche accollarsi. E’ una situazione immobile e bisognerà attendere
le prossime settimane per vedere uno spiraglio, posto che ci sia uno spiraglio.