2012-05-31 16:07:20

Guerriglia e narcotraffico in Colombia: le Farc liberano Langlois e scrivono al presidente francese Hollande


I guerriglieri colombiani delle Farc hanno inviato una lettera al presidente francese Francois Hollande per chiedere la partecipazione della comunità internazionale ad un eventuale processo di pace. Lo ha reso noto Romeo Langlois, il giornalista francese liberato mercoledì dai guerriglieri colombiani, dopo essere stato rapito il 28 aprile scorso. L'uomo è stato scortato fino al villaggio di San Isidro poco distante da dove era stato prelevato, dopo uno scontro a fuoco tra esercito e guerriglieri, costato la vita a tre militari in missione antidroga. Le Farc, da febbraio, hanno dichiarato la cessazione dei rapimenti a scopo estortivo, ma da più parti si ribadisce che molti sarebbero ancora i rapiti in mano ai guerriglieri, sempre più concentrati sul narcotraffico. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Andrea Amato, giornalista esperto dell’area ed autore del libro: “L'impero della cocaina. Dalla Colombia all'Italia fino agli Stati Uniti: viaggio in presa diretta nel traffico dell'oro bianco”, edito da Newton Compton:RealAudioMP3

R. - Dal 2002 ad oggi le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc) hanno realizzato 3600 sequestri; hanno sempre meno l’appoggio della popolazione dei campesinos, anche se la metà della popolazione colombiana vive in stato di povertà. Molti analisti sostengono che a loro ormai basta esserci: mentre lo Stato colombiano deve vincere, a loro basta resistere.

D. - “Niente più sequestri di civili per scopi estortivi”, così le Farc a febbraio: ma da più parti si denuncia che molti sono ancora i rapiti nelle mani dei guerriglieri. E’ così?

R. - Secondo me, sì. Hanno ancora altri ostaggi: grazie agli ostaggi e al terrore che incutono con questi rapimenti riescono ancora a mantenere il controllo di vaste aree della Colombia, soprattutto quella della giungla vicino al Venezuela.

D. - Proprio la zona di confine venezuelana presenta, poi, delle ombre…

R. - Loro vivono sul confine tra Colombia e Venezuela e quando sono alle strette passano questo confine, senza che il presidente del Venezuela, Chavez, agisca. Di fatto le forze regolari, l’esercito colombiano rimane sul confine. Ufficialmente, Chavez non ha mai fatto endorsement verso le Farc, ma è noto a tutta la Comunità internazionale la sua simpatia verso i guerriglieri marxisti colombiani.

D. - Le Farc nascono nel 1964 e tutt’oggi si dicono dalla parte dei poveri, contro le classi ricche e contro l’ingerenza degli Stati Uniti d’America…

R. - Esatto. Sono partite nel ’64: erano 48 campesinos sfruttati e vessati dai latifondisti colombiani, hanno letto Marx ed hanno imbracciato le armi per combattere l’esercito e lo Stato. Da lì sono arrivati a 30 mila soldati. Oggi la loro prima ed unica occupazione è il narcotraffico: negli anni Novanta, quando i Cartelli di Medellin, di Escobar e anche di Calì sono stati eliminati dalla polizia, con l’aiuto dei soldi delle forze americane, il narcotraffico è finito in mano ai guerriglieri: da una parte le Farc di sinistra e dall’altra le “Autodefensas unidas de Colombia” - paramilitari di destra, nati politicamente per combattere le Farc - e che a un certo punto si sono trovati con questo tesoro in mano che era il narcotraffico.

D. - La Colombia che cosa gestisce del narcotraffico?

R. - Partiamo dall’assunto che le piante di coca crescono solo in Colombia, Perù e Bolivia. Il 60 per cento della coca prodotta nel mondo, viene prodotta in collina e quindi la Colombia è ancora oggi il primo produttore di cocaina. Ha perso un po’ di egemonia nel traffico, a favore dei Cartelli messicani, soprattutto per il Nord America e quindi Stati Uniti e Canada, hanno assunto il controllo verso est, oltre l’Atlantico e in favore della ’ndrangheta. Si presume però che mille tonnellate di cocaina all’anno, il 60 per cento viene fatto in Colombia.

D. - Una realtà contrastata anche dagli Stati Uniti. Che impatto hanno avuto le strategie di lotta avviate da Clinton nel ’99?

R. - La strategia voluta da Clinton nel ’99 ha caricato nelle casse colombiane miliardi e miliardi di dollari. La Colombia si regge metà sul narcotraffico e l’altra metà sulla guerra al narcotraffico: senza la cocaina e la lotta alla cocaina probabilmente in questo Paese non ci sarebbe un’economia!

D. - Ma questo concretamente come impatta sulla popolazione? Che cosa succede?

R. - L’economia della cocaina è fortissima: un campesinos che coltiva un ettaro a banane, guadagna un millesimo di quello che guadagna coltivando coca; non solo, se le autorità trovano nell’ettaro più di 20 piante di coca, gli viene sequestrata la terra; se invece un campesinos si rifiuta di coltivare coca su ordinazione dei narcos, viene ucciso.

D. - Anche la Colombia ha conosciuto il fenomeno in cui i governi, la pubblica sicurezza erano collusi con i narcos. Adesso lo scenario sembra cambiare…

R. - Si sta cercando di perseguire una strada diversa: ci sono processi a metà del vecchio parlamento… Si sta cercando di voltare pagina. Non è facile, proprio perché in ballo ci sono montagne di soldi, di dollari sporchi di cocaina.

D. - Una realtà, quella del narcotraffico, che purtroppo coinvolge - fra i primi attori - anche l’Italia…

R. - La ‘ndrangheta calabrese controlla il 60 per cento del traffico mondiale di cocaina. E’ assolutamente il primo "player" di droga del mondo ed è soprattutto l’interlocutore più affidabile per i nacors sudamericane, per i colombiani. Non c’è mafia più accreditata in Sud America come la ‘ndrangheta.

D. - Cosa bisognerebbe fare in concreto?

R. - Bisognerebbe avere dei governi non collusi con i narcos e colpirli nella fase successiva ossia il riciclaggio di denaro: loro hanno questa montagna di soldi liquidi che riciclano con una facilità impressionante grazie anche agli Stati off-shore. Obama, nella sua prima campagna elettorale, aveva detto che avrebbe portato al centro del dibattito internazionale l’eliminazione dei paradisi fiscali e questa cosa - ad un certo punto - è scomparsa dall’agenda politica di Obama, ma anche di tutta la Comunità internazionale. Questo è semplicissimo, perché il paradiso fiscale interessa sia le mafie e i narcos per riciclare i loro soldi, ma anche magari al piccolo imprenditore per far sparire il nero, l’evasione fiscale che fa. Finché non si colpirà la malavita sudamericana, europea, nordamericana nel portafoglio, difficilmente si riuscirà a vincere questa guerra!







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