Guerriglia e narcotraffico in Colombia: le Farc liberano Langlois e scrivono al presidente
francese Hollande
I guerriglieri colombiani delle Farc hanno inviato una lettera al presidente francese
Francois Hollande per chiedere la partecipazione della comunità internazionale ad
un eventuale processo di pace. Lo ha reso noto Romeo Langlois, il giornalista francese
liberato mercoledì dai guerriglieri colombiani, dopo essere stato rapito il 28 aprile
scorso. L'uomo è stato scortato fino al villaggio di San Isidro poco distante da dove
era stato prelevato, dopo uno scontro a fuoco tra esercito e guerriglieri, costato
la vita a tre militari in missione antidroga. Le Farc, da febbraio, hanno dichiarato
la cessazione dei rapimenti a scopo estortivo, ma da più parti si ribadisce che molti
sarebbero ancora i rapiti in mano ai guerriglieri, sempre più concentrati sul narcotraffico.
Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Andrea Amato, giornalista
esperto dell’area ed autore del libro: “L'impero della cocaina. Dalla Colombia all'Italia
fino agli Stati Uniti: viaggio in presa diretta nel traffico dell'oro bianco”, edito
da Newton Compton:
R. - Dal 2002
ad oggi le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc) hanno realizzato 3600 sequestri;
hanno sempre meno l’appoggio della popolazione dei campesinos, anche se la metà della
popolazione colombiana vive in stato di povertà. Molti analisti sostengono che a loro
ormai basta esserci: mentre lo Stato colombiano deve vincere, a loro basta resistere.
D.
- “Niente più sequestri di civili per scopi estortivi”, così le Farc a febbraio: ma
da più parti si denuncia che molti sono ancora i rapiti nelle mani dei guerriglieri.
E’ così?
R. - Secondo me, sì. Hanno ancora altri ostaggi: grazie agli ostaggi
e al terrore che incutono con questi rapimenti riescono ancora a mantenere il controllo
di vaste aree della Colombia, soprattutto quella della giungla vicino al Venezuela.
D. - Proprio la zona di confine venezuelana presenta, poi, delle ombre…
R.
- Loro vivono sul confine tra Colombia e Venezuela e quando sono alle strette passano
questo confine, senza che il presidente del Venezuela, Chavez, agisca. Di fatto le
forze regolari, l’esercito colombiano rimane sul confine. Ufficialmente, Chavez non
ha mai fatto endorsement verso le Farc, ma è noto a tutta la Comunità internazionale
la sua simpatia verso i guerriglieri marxisti colombiani.
D. - Le Farc nascono
nel 1964 e tutt’oggi si dicono dalla parte dei poveri, contro le classi ricche e contro
l’ingerenza degli Stati Uniti d’America…
R. - Esatto. Sono partite nel ’64:
erano 48 campesinos sfruttati e vessati dai latifondisti colombiani, hanno letto Marx
ed hanno imbracciato le armi per combattere l’esercito e lo Stato. Da lì sono arrivati
a 30 mila soldati. Oggi la loro prima ed unica occupazione è il narcotraffico: negli
anni Novanta, quando i Cartelli di Medellin, di Escobar e anche di Calì sono stati
eliminati dalla polizia, con l’aiuto dei soldi delle forze americane, il narcotraffico
è finito in mano ai guerriglieri: da una parte le Farc di sinistra e dall’altra le
“Autodefensas unidas de Colombia” - paramilitari di destra, nati politicamente per
combattere le Farc - e che a un certo punto si sono trovati con questo tesoro in mano
che era il narcotraffico.
D. - La Colombia che cosa gestisce del narcotraffico?
R.
- Partiamo dall’assunto che le piante di coca crescono solo in Colombia, Perù e Bolivia.
Il 60 per cento della coca prodotta nel mondo, viene prodotta in collina e quindi
la Colombia è ancora oggi il primo produttore di cocaina. Ha perso un po’ di egemonia
nel traffico, a favore dei Cartelli messicani, soprattutto per il Nord America e quindi
Stati Uniti e Canada, hanno assunto il controllo verso est, oltre l’Atlantico e in
favore della ’ndrangheta. Si presume però che mille tonnellate di cocaina all’anno,
il 60 per cento viene fatto in Colombia.
D. - Una realtà contrastata anche
dagli Stati Uniti. Che impatto hanno avuto le strategie di lotta avviate da Clinton
nel ’99?
R. - La strategia voluta da Clinton nel ’99 ha caricato nelle casse
colombiane miliardi e miliardi di dollari. La Colombia si regge metà sul narcotraffico
e l’altra metà sulla guerra al narcotraffico: senza la cocaina e la lotta alla cocaina
probabilmente in questo Paese non ci sarebbe un’economia!
D. - Ma questo concretamente
come impatta sulla popolazione? Che cosa succede?
R. - L’economia della cocaina
è fortissima: un campesinos che coltiva un ettaro a banane, guadagna un millesimo
di quello che guadagna coltivando coca; non solo, se le autorità trovano nell’ettaro
più di 20 piante di coca, gli viene sequestrata la terra; se invece un campesinos
si rifiuta di coltivare coca su ordinazione dei narcos, viene ucciso.
D. -
Anche la Colombia ha conosciuto il fenomeno in cui i governi, la pubblica sicurezza
erano collusi con i narcos. Adesso lo scenario sembra cambiare…
R. - Si sta
cercando di perseguire una strada diversa: ci sono processi a metà del vecchio parlamento…
Si sta cercando di voltare pagina. Non è facile, proprio perché in ballo ci sono montagne
di soldi, di dollari sporchi di cocaina.
D. - Una realtà, quella del narcotraffico,
che purtroppo coinvolge - fra i primi attori - anche l’Italia…
R. - La ‘ndrangheta
calabrese controlla il 60 per cento del traffico mondiale di cocaina. E’ assolutamente
il primo "player" di droga del mondo ed è soprattutto l’interlocutore più affidabile
per i nacors sudamericane, per i colombiani. Non c’è mafia più accreditata in Sud
America come la ‘ndrangheta.
D. - Cosa bisognerebbe fare in concreto?
R.
- Bisognerebbe avere dei governi non collusi con i narcos e colpirli nella fase successiva
ossia il riciclaggio di denaro: loro hanno questa montagna di soldi liquidi che riciclano
con una facilità impressionante grazie anche agli Stati off-shore. Obama, nella sua
prima campagna elettorale, aveva detto che avrebbe portato al centro del dibattito
internazionale l’eliminazione dei paradisi fiscali e questa cosa - ad un certo punto
- è scomparsa dall’agenda politica di Obama, ma anche di tutta la Comunità internazionale.
Questo è semplicissimo, perché il paradiso fiscale interessa sia le mafie e i narcos
per riciclare i loro soldi, ma anche magari al piccolo imprenditore per far sparire
il nero, l’evasione fiscale che fa. Finché non si colpirà la malavita sudamericana,
europea, nordamericana nel portafoglio, difficilmente si riuscirà a vincere questa
guerra!