Il Papa all'udienza generale: Dio consola sempre, anche in mezzo alle tempeste della
vita
Il Papa, nell’udienza generale in Piazza San Pietro, ha proseguito le sue catechesi
sulla preghiera così come la presenta l’apostolo Paolo, ovvero “come un vero e personale
incontro con Dio Padre, in Cristo, mediante lo Spirito Santo”. In questo incontro
– sottolinea – entrano in dialogo "il «sì» fedele di Dio e l’«amen» fiducioso dei
credenti”. Il Papa ha sottolineato questa dinamica, soffermandosi sulla Seconda Lettera
ai Corinzi. “San Paolo invia questa appassionata Lettera a una Chiesa che più volte
ha messo in discussione il suo apostolato, ed egli apre il suo cuore perché i destinatari
siano rassicurati sulla sua fedeltà a Cristo e al Vangelo. La Seconda Lettera ai Corinzi
inizia con una delle preghiere di benedizione più alte del Nuovo Testamento: «Sia
benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di
ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche
noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione
con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Cor 1,3-4)”.
Benedetto XVI nota
che “molte sono le tribolazioni, le difficoltà e le afflizioni che Paolo ha dovuto
attraversare, ma non ha mai ceduto allo scoraggiamento, sorretto dalla grazia e dalla
vicinanza del Signore Gesù Cristo, per il quale era diventato apostolo e testimone
consegnando nelle sue mani tutta la propria esistenza. Proprio per questo, egli inizia
questa Lettera con una preghiera di benedizione e di ringraziamento verso Dio, perché
non c’è stato alcun momento della sua vita di apostolo di Cristo in cui abbia sentito
venir meno il sostegno del Padre misericordioso, del Dio di ogni consolazione"....
"Per annunziare Cristo ha subito anche persecuzioni, fino ad essere rinchiuso in carcere,
ma si è sentito sempre interiormente libero, animato dalla presenza di Cristo e desideroso
solamente di annunciare la parola di speranza del Vangelo. Dal carcere così scrive
a Timoteo, suo fedele collaboratore: «la Parola di Dio non è incatenata! Perciò io
sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, affinché anch’essi raggiungano la
salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna» (2Tm 2,9b-10). Nel suo
soffrire per Cristo, egli sperimenta la consolazione di Dio: «come abbondano le sofferenze
di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo, abbonda la nostra consolazione» (2Cor
1,5)”.
“Nella preghiera di benedizione che introduce la Seconda Lettera ai
Corinzi – prosegue il Papa -domina quindi, accanto al tema delle afflizioni, il tema
della consolazione, da non intendersi solo come semplice conforto, ma soprattutto
come incoraggiamento ed esortazione a non lasciarsi vincere dalla tribolazione e dalle
difficoltà. L’invito è a vivere ogni situazione uniti a Cristo, che carica su di sé
tutta la sofferenza e il peccato del mondo per portare luce, speranza e redenzione.
E così Gesù ci rende capaci di consolare a nostra volta quelli che si trovano in ogni
genere di afflizione. La profonda unione con Cristo nella preghiera, la fiducia nella
sua presenza, conducono alla disponibilità a condividere le sofferenze e le afflizioni
dei fratelli: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? – afferma l’Apostolo - Chi riceve
scandalo, che io non frema?» (2Cor 11,29). Questa condivisione non nasce da una semplice
benevolenza, né solo dalla generosità umana o dallo spirito di altruismo, bensì scaturisce
dalla consolazione del Signore, dal sostegno incrollabile della «straordinaria potenza
che viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7)”.
Il Papa quindi così prosegue: “Cari
fratelli e sorelle, la nostra vita e il nostro cammino cristiano sono segnati spesso
da difficoltà, da incomprensioni, da sofferenze, tutti lo sappaimo. Nel rapporto fedele
con il Signore, nella preghiera costante, quotidiana, possiamo anche concretamente
sentire la consolazione che viene da Dio. E questo rafforza la nostra fede, perché
ci fa sperimentare in modo concreto il «sì» di Dio all’uomo, a noi, a me, in Cristo,
fa sentire la fedeltà del suo amore, che giunge fino al dono del suo Figlio sulla
Croce. Afferma san Paolo: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunziato tra
voi, io, Silvano e Timoteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui ci fu il “sì”. Infatti tutte
le promesse di Dio in lui sono “sì”. Per questo per mezzo di lui sale a Dio il nostro
“amen”, per la sua gloria» (2Cor 1,19-20)”....
“La fede – ribadisce - non è
primariamente azione umana, ma dono gratuito di Dio, che si radica nella sua fedeltà,
nel suo «sì», che ci fa comprendere come vivere la nostra esistenza amando Lui e i
fratelli. Tutta la storia della salvezza è un progressivo rivelarsi di questa fedeltà
di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti, nella certezza che
«i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!», come dichiara l’Apostolo nella Lettera
ai Romani (11,29)”.
Benedetto XVI ha spiegato che “il modo di agire di Dio
- ben diverso dal nostro - ci dà consolazione, forza e speranza, perché Dio non ritira
il suo sì. Di fronte ai contrasti nelle relazioni umane, spesso anche familiari, noi
siamo portati a non perseverare nell’amore gratuito, che costa impegno e sacrificio.
Invece, Dio non si stanca con noi, non si stanca mai di avere pazienza con noi e con
la sua immensa misericordia ci precede sempre, ci viene incontro per primo. ... Nell’evento
della Croce ci offre la misura del suo amore, che non calcola, che non ha misura.
San Paolo nella Lettera a Tito scrive: «È apparsa la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4). E perché questo «sì» si rinnovi ogni giorno
«ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello
Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,21b-22)”.
“E’ infatti lo Spirito Santo –
ha detto il Papa - che rende continuamente presente e vivo il «sì» di Dio in Gesù
Cristo e crea nel nostro cuore il desiderio di seguirlo per entrare totalmente, un
giorno, nel suo amore, quando riceveremo una dimora non costruita da mani umane nei
cieli. Non c’è persona che non sia raggiunta e interpellata da questo amore fedele,
capace di attendere anche quanti continuano a rispondere con il «no» del rifiuto o
dell’indurimento del cuore. Dio ci aspetta, ci cerca sempre, vuole accoglierci nella
comunione con Sé per donare ad ognuno di noi pienezza di vita, di speranza e di pace”.
Ha
poi osservato che “sul «sì» fedele di Dio s’innesta l’«amen» della Chiesa che risuona
in ogni azione della liturgia: Amen è la risposta della fede che chiude sempre la
nostra preghiera personale e comunitaria, e che esprime il nostro «sì» all’iniziativa
di Dio. Spesso rispondiamo per abitudine col nostro «amen» nella preghiera, senza
coglierne il significato profondo. Questo termine deriva da ’aman che, in ebraico
e in aramaico, significa «rendere stabile», «consolidare» e, di conseguenza, «essere
certo» o «dire la verità». Se guardiamo alla Sacra Scrittura, vediamo che l’«amen»
è detto alla fine dei Salmi di benedizione e di lode, come, ad esempio, nel Salmo
41,13-14: «Per la mia integrità tu mi sostieni e mi fai stare alla tua presenza per
sempre. Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen».
Oppure esprime l’adesione a Dio, nel momento in cui il popolo di Israele ritorna
pieno di gioia dall’esilio babilonese e dice il suo «sì», il suo «amen» a Dio e alla
sua Legge. Nel Libro di Neemia si narra che «Esdra, dopo questo ritorno, aprì il
libro (della Legge) in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti;
come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore,
Dio grande, e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani» (Ne 8,5-6)”.
“Sin dagli inizi – ha rilevato il Santo Padre - l’«amen» della liturgia giudaica
è diventato l’«amen» delle prime comunità cristiane. E il libro della liturgia cristiana
per eccellenza, l’Apocalisse di San Giovanni, inizia con l’«amen» della Chiesa: «A
Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto
di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza, nei
secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,5b-6). E si chiude con l’invocazione «Amen, vieni,
Signore Gesù» (Ap 22,21)”.
Benedetto XVI ha rimarcato ancora una volta che
“la preghiera è l’incontro con una Persona viva da ascoltare e con cui dialogare;
è l’incontro con Dio che rinnova la sua fedeltà incrollabile, il suo «sì» all’uomo,
a ciascuno di noi, per donarci la sua consolazione in mezzo alle tempeste della vita
e farci vivere, uniti a Lui, un’esistenza piena di gioia e di bene, che troverà il
suo compimento nella vita eterna”.
Infine, ha così concluso: “Nella nostra
preghiera siamo chiamati a dire «sì» a Dio, a rispondere con l’«amen» dell’adesione,
della fedeltà a Lui di tutta la nostra vita. Questa fedeltà non la possiamo mai conquistare
con le nostre forze, non è solo frutto del nostro impegno quotidiano; essa viene da
Dio ed è fondata sul «sì» di Cristo, che afferma: mio cibo è fare la volontà del Padre
(cfr Gv 4,34). E’ in questo «sì» che dobbiamo entrare, nell’adesione alla volontà
di Dio, per giungere con san Paolo ad affermare che non siamo noi a vivere, ma è Cristo
stesso che vive in noi. Allora l’«amen» della nostra preghiera personale e comunitaria
avvolgerà e trasformerà tutta la nostra vita in una vita di consolazione di Dio, in
una vita immersa nell'amore eterno e incrollabile”.