Incontro Mondiale delle Famiglie. Il cardinale Scola: la presenza del Papa sarà un
dono straordinario
Alla vigilia dell’inizio del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, il cardinale Angelo
Scola e il cardinale Ennio Antonelli hanno inaugurato oggi a Milano la Fiera Internazionale
della Famiglia. L'evento è stato seguito per noi da Fabio Brenna:
Cento stand
per raccontare le buone pratiche a riguardo della famiglia. E’ la Fiera che inaugurata
oggi fa da prologo al VII Incontro Mondiale delle Famiglie ed è il frutto del lavoro
di riflessione e discernimento iniziato nell'Incontro Mondiale delle Famiglie a Città
del Messico. Domani si apre il convegno teologico pastorale: tre giorni di riflessione
e dibattito sul tema generale dell’incontro “La famiglia, il lavoro, la festa”. Il
cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha
annunciato qui a Milano che il Papa ha deciso di concedere l’indulgenza plenaria a
coloro che parteciperanno a questo Incontro, che da venerdì a domenica ospiterà proprio
Benedetto XVI.
Dunque, in una Milano che comincia a riempirsi di genitori e
figli dei cinque continenti – e dove da giorni la gigantografia con il volto del Papa
pende sulla facciata del Duomo – si vive oggi la vigilia del Congresso internazionale
che dà il via al settimo Incontro mondiale delle Famiglie. Sono oltre 1500 i giornalisti
che ne seguiranno gli eventi, soprattutto la conclusione che vedrà la presenza del
Papa tra venerdì e domenica prossimi. Il nostro inviato nel capoluogo lombardo, Alessandro
De Carolis, ha chiesto all’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola,
con quali sentimenti la Chiesa ambrosiana si sia preparata ad accogliere i protagonisti
del raduno:
R. – Credo che
la parola più giusta, da parte mia, in ogni caso quella che sento in profondità, è
la parola “gratitudine”. Questa occasione - che il Santo Padre ci ha offerto e che
il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha programmato - ha favorito, nella nostra
realtà diocesana e anche in tutta la società civile, una presa di coscienza approfondita
del bene preziosissimo che è la famiglia. E si è messo, così, al centro della realtà
ecclesiale e civile, questa realtà costitutiva, indispensabile e genetica di effettive
personalità mature, capaci di essere buoni cristiani e buoni cittadini. Ho visto questo
dato crescere ed è imponente la stessa eco che tutti gli strumenti di comunicazione
stanno dando a questo evento che rimette al centro la famiglia fondata sul rapporto
stabile, aperto alla vita, dell’uomo e della donna. Quindi, non si può non essere
grati perché è un bene di cui tutti gli uomini fanno esperienza ed è qualcosa che
dobbiamo custodire per il presente e per il futuro che si mostra così carico di travaglio
e di fatica.
D. – “Il lavoro e la festa” è il binomio-guida del prossimo Raduno.
In un momento di crisi economica acuta come quella attuale, in cui si tende a dilatare
all’eccesso i tempi del lavoro, parlare di “tempo della festa” sembrerebbe quasi una
provocazione. Qual è, allora, la testimonianza che vogliono dare le famiglie cristiane?
R. – Vogliono innanzitutto partire da un’unità profonda, radicata: se riflettiamo
bene, ognuno di noi ogni giorno è chiamato a giocarsi con gli affetti, con il lavoro
e con il riposo. Da questo punto di vista, la scelta del tema e il lavoro di riflessione
che faremo su di esso, e di preghiera, di meditazione, di scambio artistico, si rivela,
secondo me, in un certo senso proprio in questa epoca di fatica, una grande offerta
a ogni persona, a ogni uomo, a ogni realtà associata, affinché riscoprendo in profondità
in queste espressioni dell’unità dell’io – gli affetti, il lavoro, la festa – si ritrovi
anche l’energia per affrontare le grandi contraddizioni in cui siamo immersi. Di questi
tre elementi, nessuno può fare a meno e la famiglia è quella che li custodisce e li
alimenta. Quindi, proprio perché la prova è molto forte, io credo che il settimo Incontro
possa dare speranza e fiducia anche in un momento così difficile.
D. – L’Incontro
mondiale delle famiglie vedrà rappresentate un’ottantina di nazioni, almeno. Questo
vuol dire, per l’appunto, un orizzonte molto ampio di ciò che la famiglia che crede
è e intende essere, lì dove vive. Come si lega questo evento all’apertura dell’Anno
della Fede?
R. – Secondo me, questo evento può rappresentare una premessa decisiva,
nel senso che può aprire gli animi alla questione numero uno che è, come ha detto
il Santo Padre, la questione della fede. Quando il Papa ha parlato della crisi dell’Europa,
ha ricordato tutte le contraddizioni di carattere sociale, culturale che l’Europa
attraversa, ma ha detto che, alla sua radice, questa crisi è una crisi di fede. Perché
la fede è messa in questione: noi cristiani siamo chiamati ad affrontare tutte le
domande che i nostri fratelli uomini ci pongono circa il contenuto del dono della
nostra fede che, non per nostro merito, abbiamo avuto dall’offerta totale della propria
vita che Gesù ha compiuto. Ci ha consentito di chiamare Dio “Padre”, ci ha dato il
senso del rapporto giusto tra l’uomo e la donna, ci ha incorporati a Lui nell’Eucaristia,
da cui viene la Chiesa come una comunità di fratelli, ci ha dato il senso e il gusto
del lavoro, ci aiuta a riposare e ci spalanca alla condivisione del bisogno più radicale
degli ultimi e degli emarginati. Ci dà il senso del bello, del buono e del vero. Quindi,
la famiglia, che deve diventare sempre più un soggetto ecclesiale, è una riscoperta
della fede cui il Santo Padre ha voluto dedicare il lavoro del prossimo anno pastorale.
D. – Mi collego proprio all’Incontro che sarà suggellato, a Milano, dalla
presenza di Benedetto XVI: cosa significa, questo, per le famiglie che saranno a Milano
ma anche per la Sua arcidiocesi?
R. – Questo è un dono straordinario! Cioè,
il fatto che il Santo Padre venga per ben tre giorni evidentemente rappresenta un’occasione
straordinaria per quel risveglio di fede e di vita cristiana di cui sentiamo il bisogno.
Infatti, il ministero di Pietro è quello di confermare i fratelli nella fede. Il Papa
è costitutivamente già dentro la vita della nostra Chiesa, come di tutte le Chiese
particolari: non a caso, noi ogni giorno, durante la Santa Messa, preghiamo per il
Papa. Ma questa sua presenza straordinaria, avrà – ne sono certo, lo vedo dall’intensità
con cui si sta preparando questo Incontro, con cui si vanno coinvolgendo le parrocchie,
le associazioni, i gruppi, i movimenti – come esito una modalità ordinaria di vivere
la sua testimonianza e il suo Magistero che non può che essere, oltre che un caposaldo,
un bene per la Chiesa e per la Chiesa non soltanto milanese.
Da mesi, centinaia
di famiglie milanesi e lombarde hanno dato disponibilità ad aprire le porte delle
proprie case per ospitare – non di rado a proprie spese – le famiglie partecipanti
all’Incontro in arrivo dall’estero. Tra queste c’è una coppia di pensionati, Gianni
e Lidia Pisan, del Movimento di Comunione e Liberazione, che vive a Cassano Magnago
in provincia di Varese e che accoglierà una famiglia ugandese. L’inviato Alessandro
De Carolis ha raccolto la loro storia:
R. – (Lidia)
Io ero disponibile ad accogliere una famiglia per l’Incontro mondiale con il Papa,
e mi è venuto in mente che poteva essere una bella idea ospitare una famiglia ugandese,
che altrimenti non avrebbe avuto possibilità di partecipare ad un incontro di questa
portata. Conoscevo da anni solo il marito - si chiama Joseph – così io gli ho scritto
e lui subito si è dichiarato felicissimo di poter partecipare a questo evento. Mi
ha detto, però, che avevano difficoltà economiche a pagarsi il biglietto del viaggio,
quindi ci siamo interessati e gli abbiamo detto: “Te lo offriamo noi”. Gli amici che
hanno saputo della nostra storia, ci hanno anche dato un contributo, quindi anche
noi siamo stati aiutati. Ci sono state poi varie difficoltà burocratiche, ad esempio
nel fare il passaporto per la moglie che non era mai stata all’estero. Ma adesso finalmente
le cose sono a posto, quindi saranno qui di sicuro.
R. – (Gianni) Si fa tutto
quello che è necessario, come tenere i contatti con altre persone e da noi le disponibilità
erano state date di un centinaio di famiglie. Ciò che mi ha colpito fin dall’inizio
– quando l’abbiamo conosciuto anni fa – è stata l’esperienza di Joseph, di etnia hutu,
che era scappato dal Rwanda all’epoca del genocidio, era stato educato in Inghilterra
ed era diventato pilota di aereo. Poi, però, si era rifugiato in Uganda per non andare
a bombardare la sua gente, e questo mi aveva colpito particolarmente. Mi dicevo: uno
che ha la possibilità di viver bene penso non sia una cosa da poco... Così, nel tempo,
abbiamo continuato questa nostra amicizia.
D. – La famiglia in crisi, la “coppia
che scoppia”: questi cliché mediatici riflettono purtroppo anche delle realtà di fatto.
Secondo voi, dove brilla ancora la bellezza della famiglia?
R. – (Gianni) Queste
situazioni di difficoltà delle famiglie capitano ovunque: io credo che l’unica cosa
che salva non siamo noi stessi, ma il fatto di sentirsi parte di una dimensione ecclesiale.
Ci è stato insegnato a non fidarci delle nostre forze, ma a far conto su Chi dirige
queste nostre azioni. In sintesi, a non far sì che Gesù Cristo sia solo una parola.
R.
– (Lidia) La bellezza sta nel fatto che, nonostante la situazione sia spesso così
grave, ci siano comunque esempi di famiglie che testimoniano, così come è loro possibile,
unità e bellezza, appunto. Potrebbe essere di stimolo e di aiuto per le coppie che
magari sono separate o sono in difficoltà a chiedersi: “Perché non è possibile anche
per me fare una vita così?”. Non c’è bisogno di fare tanti discorsi: quando si vede
una cosa bella, si desidera che lo sia anche per sé.
D. – Cosa vi aspettate
dall’incontro tra voi famiglie a Milano e dall’incontro di tutte voi con il Papa?
R.
– (Lidia) Innanzitutto, ci aspettiamo una parola di speranza ed un sostegno nella
fede. Sì, ci aspettiamo grandi cose…
R. – (Gianni) Quello che mi aspetto è
che questa mobilitazione favorisca la testimonianza di ciò che la Chiesa ha da dire
– e senz’altro con questo Papa ha molto da dire: che proviamo ad aiutarci un po’ tutti
e che ci facciamo formare alla fede, che penso sia il grande problema dei nostri giorni.