In un libro mons. Pagano racconta la storia di un monastero sul Monte Soratte
“Vita reclusa sul Monte Soratte” è il titolo del libro scritto da mons. Sergio Pagano,
prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, che è stato presentato nei giorni scorsia Sant’Oreste, paese vicino Roma che sorge alle pendici del monte. La presentazione
è avvenuta in occasione della Festa della Madonna di Maggio, una delle più sentite
dalla popolazione che da sempre è devota a Maria. Come e perché è nato questo libro?
Benedetta Capelli lo ha chiesto allo stesso mons. Sergio Pagano:
R. – L’idea
è nata da una ricerca che io stavo compiendo per altri documenti nel nostro fondo
dell’Abbazia delle Tre Fontane. Mi sono imbattuto nella regola originale, sottoscritta
dal famoso cardinale Alessandro Farnese, per le monache di Santa Croce di Sant’Oreste.
Poiché si tratta di una regola rarissima scritta per monache da un cardinale di quella
statura, come era il cardinale Farnese, ho approfondito la ricerca. Ho cercato nello
stesso fondo delle Tre Fontane la storia del monastero, ho approfondito la sua fondazione
attraverso l’archivio di Stato di Roma, mi sono recato all’archivio comunale di Sant’Oreste,
ed è venuta fuori la storia di questo singolare monastero di monache che è stato fondato
nel 1571 ed è esistito fino all’estinzione, nel 1908.
D. – Qual è secondo lei
l’aspetto di questa storia che la rende così affascinante?
R. – Anzitutto la
particolarità di questo monastero perché pur essendo monache che professavano la regola
agostiniana si trovavano in un monastero che non era soggetto al vescovo ma soggetto
all’abate commendatario, in tal caso al cardinale commendatario dell’Abbazia delle
Tre Fontane. Queste monache quindi sono di origine locale, è un monastero sorto a
Sant’Oreste che non ha avuto altre filiazioni, è nato e si è estinto lì. Ha conosciuto
una buona fortuna perché dal 1571 in poi ha avuto una lunga storia durata fino al
1908; venne soppresso per 14 anni durante l’età napoleonica ma dopo riprese la sua
attività nel 1814. Ha avuto una grande presenza di monache, pur essendo un monastero
locale arrivò a contare tra il ’600 e il ’700 fino a 26-28 monache provenienti dal
Lazio ma anche dalla Toscana, dalla Campania… E ha giovato al paese, al borgo di Sant’Oreste,
e Sant’Oreste ha giovato al monastero. C’era un’osmosi tra questo centro di spiritualità,
con queste donne che avevano una regola di clausura molto severa, e la stessa cittadinanza
di Sant’Oreste che a loro aveva donato vigne, terre, castagneti, possedimenti. Viceversa
le monache avevano accolto nel loro monastero le figlie di questa terra, le ragazze
che non potevano sposarsi o per mancanza di dote o per scelta religiosa, etc. Quindi
è un caso molto tipico, non dico unico, perché in Italia ne conosciamo altri, ma insomma
un caso tipico che mi sembra sia bene studiare.
D. – Si può dire che questo
monastero sia stato un seme gettato in quel territorio che già in passato aveva avuto
luminose figure di santi come San Silvestro, Benedetto del Soratte, e che quindi in
un certo senso ha accresciuto il fervore religioso di quel posto?
R. – Sì,
questo è molto vero perché fu un centro di spiritualità, non l’unico perché appunto
sopra al monastero, verso la cima del Soratte, c’è il famoso eremo di San Silvestro.
Ma Sant’Oreste ha avuto anche figure di ecclesiastici molto degni, il cui riflesso
noi lo troviamo nell’archivio proprio delle Tre Fontane perché, come ho detto, l’abate
aveva piena giurisdizione ecclesiastica su questo territorio. Quindi, queste monache
sono state un centro di spiritualità e direi anche di cultura perché facevano il cucito,
lo vendevano per proventi ovvi, per mantenimento non solo di Sant’Oreste ma di tutta
la zona vicina; facevano piatti anche tipici da come risulta dalle regole, di cui
si avvantaggiavano le feste locali quando c’erano; educavano le fanciulle del luogo
quando entravano in monastero come educande con una certa serietà, si potrebbe dire,
continuità. Per me è stato un polmone quella comunità sempre in osmosi tra la vita
civile e la vita religiosa.