Pentecoste in Africa, le sfide di una Chiesa giovane: testimonianza dell'arcivescovo
di Garoua, in Camerun
La Chiesa in Africa celebra la Solennità di Pentecoste con una rinnovata speranza:
nel continente infatti continuano a crescere il numero dei battezzati e delle vocazioni
alla vita sacerdotale e religiosa. Ma tante restano le sfide e le difficoltà. Davide
Maggiore ha sentito in proposito mons. Antoine Ntalou, arcivescovo di Garoua
in Camerun:
R. – La difficoltà
maggiore mi sembra, oggi, partendo almeno dall’esempio della mia Chiesa particolare,
che sia quella di costruire prima di tutto l’unità interna tra i fedeli, perché appartengono
a gruppi specifici. Quindi, fare la Chiesa, unire questo popolo e farne il popolo
di Dio, mi sembra sia il primo problema, e soprattutto far sentire a questa gente
che ormai appartiene ad una sola famiglia.
D. – A questo proposito, una delle
sfide per la Chiesa in Africa è anche quella del confronto con le diverse culture
locali, quindi dell’inculturazione...
R. – Ci sono problemi nell’incontro con
le culture tradizionali. Posso fare l’esempio, che mi pare sempre simbolico, del matrimonio
e della famiglia. Non è ancora facile integrare, dal mio punto di vista, il matrimonio
e la famiglia cristiana nel nostro ambiente culturale. Quindi, per essere cristiano
ci vuole veramente la conversione.
D. – Quale contributo hanno dato alla crescita
delle Chiese d’Africa i due Sinodi africani?
R. – Un contributo immenso. Dopo
la prima esperienza, l’assemblea del ’94, le nostre Chiese hanno visto un po’ meglio
la direzione da prendere e questo ha aiutato la nostra gente a capire che la Chiesa
siamo noi e dobbiamo, quindi, occuparcene. La seconda assemblea del 2009 ci ha aiutato
un po’ di più a vedere che una Chiesa ha dei compiti da svolgere e che, qualunque
sia la nostra ‘età’ spirituale, dobbiamo fare qualcosa per noi, ma anche per tutta
la Chiesa.
D. – L’Africa tradizionalmente viene vista come una terra di missione,
ma il Beato Giovanni Paolo II nella “Ecclesia in Africa” ha invitato la Chiesa africana
a diventare essa stessa missionaria. Come può essere realizzato questo obiettivo?
R.
– Basta far comprendere la necessità per la Chiesa di essere missionaria, altrimenti
non è Chiesa. Se divento cristiano, significa che devo fare qualcosa per la missione.
Nei fatti adesso si allarga un po’ – mi sembra – la nostra coscienza missionaria,
nel senso che ci sono sempre più africani, preti, suore, frati e così via, che lasciano
i loro Paesi, i loro ambienti per partecipare alla vita delle altre Chiese, cominciando
con l’Africa stessa. Questo mi colpisce molto. Man mano che andiamo avanti, vediamo
che oggi la missione viene integrata sempre di più nell’immaginario dei fedeli africani.