Nel giorno di Pentecoste, torna a Verona la “Festa dei popoli” alla sua XXI edizione.
Si tratta di un’occasione di incontro e di festa tra cittadini veronesi e cittadini
di origine straniera per pensare insieme percorsi di integrazione e di convivenza
pacifica. Molte le espressioni ecclesiali e civili ad organizzare l’evento, tra questi
il Centro Pastorale Immigrati-Migrantes, la Caritas e il Centro Missionario diocesani,
i Comboniani, i Focolarini, l’Associazione degli immigrati, in collaborazione con
il Comune. Tema di quest’anno: “Verona sono anch’io”. Al microfono di Adriana Masotti,
don Giuseppe Mirandola, direttore del Centro Pastorale Immigrati:
R. – Con questo
titolo noi ci agganciamo alla campagna nazionale, che è stata fatta nei mesi scorsi
- “L’Italia sono anch’io” - per quanto riguarda i diritti di cittadinanza degli immigrati.
Volevamo continuare anche attraverso la nostra festa a sensibilizzare la realtà cittadina
su questo tema e rilanciare la presenza degli immigrati in termini di cittadinanza,
cioè di persone che partecipano effettivamente alla vita della società, perché siamo
convinti che un cammino di integrazione si realizzerà in maniera matura, in maniera
armonica, nella misura in cui le persone si sentono partecipi della vita ordinaria.
D.
– Sta dicendo che volete dire a tutti che l’immigrazione non va più vista come un’emergenza
da arginare, da contrastare, ma bisogna guardare all’immigrato come ad uno di noi...
R.
– Certo, rischiamo di perdere tempo a dibattere ancora se l’immigrazione la vogliamo
o meno, se gli immigrati ci sono utili o meno, ecc… Io credo che ormai questo dibattito
sia superfluo. Dobbiamo invece interrogarci su come vogliamo vivere assieme e vogliamo
avere anche un’attenzione particolare per quanto riguarda i figli degli immigrati,
che sono arrivati in Italia da piccoli o che addirittura sono nati in Italia; come
facciamo a chiamarli immigrati?
D. – Ma oggi come vivono a Verona gli immigrati
e che cosa chiedete voi anche all’amministrazione comunale?
R. – Noi chiediamo
che ci sia più attenzione nei confronti di questi nuovi cittadini, attraverso occasioni
di incontro e di confronto. C’è a volte, nei confronti degli immigrati, quasi un senso
di lasciar fare le cose – se uno lavora, se uno è regolare – perché poi, si pensa,
l’integrazione verrà quasi spontaneamente. Ora, noi sappiamo che comunque vada l’integrazione
ci sarà. Questo è la storia che ce lo insegna. Solo che possiamo accompagnare questo
cammino, e magari anche accelerarlo, attraverso momenti di dialogo, di confronto,
quindi, creando spazi di incontro e di scambio di opinione. Per noi è importante che
l’amministrazione per esempio avvii un tavolo con i rappresentanti degli immigrati,
non solo per risolvere dei problemi, ma anche proprio per mantenere un dialogo con
questi nuovi cittadini, che presentano caratteristiche culturali, di vita, diverse
da quella che era stata la nostra esperienza ordinaria fino a qualche anno fa.
D.
– Ma nel fare questo voi vi sentite di dover andare contro un muro, per abbattere
i pregiudizi e altro, oppure c’è sensibilità nella gente a questo discorso?
R.
– Io penso che ci sia una certa generalizzazione nei confronti del fenomeno immigratorio.
Quindi, tante volte si parla per sentito dire, si parla per slogan. Ora questo ingenera
o superficialità nel cercare delle soluzioni o, dall’altra parte, sfocia in alcuni
casi in forme xenofobe o razziste.
D. – Alla festa partecipano anche esponenti
delle religioni presenti a Verona. Questo cosa sta a significare?
R. – La festa
è stata voluta, fin dall’inizio, in occasione della Pentecoste, proprio per dire che
non ci accontentiamo del celebrare, ma vogliamo dare un segno alla società civile
che quello che celebriamo deve mostrarsi nella vita quotidiana. Il fatto poi che si
coinvolgano le altre religioni, all’inizio della celebrazione, in uno spazio di preghiera,
in cui ciascuna può presentare una breve riflessione o una preghiera o una benedizione,
sta ad indicare che noi vogliamo camminare assieme. Certamente, in tutte le religioni,
troviamo forme di estremismo, ma l’estremismo non appartiene alla religione autentica,
all’esperienza dell’incontro con Dio, da qualsiasi parte essa provenga. Trovandoci
assieme lanciamo anche questo messaggio alla città: che l’esperienza religiosa non
è necessariamente motivo di divisione e di contrasto, anzi!