2012-05-26 13:17:36

Somalia: offensiva delle truppe regolari contro i ribelli shabaab


In Somalia, alla vigilia di importanti svolte istituzionali come le elezioni, ad agosto, e l’imminente varo della nuova Costituzione, si registra la pesante offensiva delle truppe di Mogadiscio, appoggiate dalle forze dell’Unione Africana (Amisom) e di altri Paesi, contro roccaforti dei ribelli islamici shabaab, legati ad Al Qaeda. Conquistata un’importante città a nord-ovest della capitale Mogadiscio. Sulle ragioni di questa svolta, Giancarlo La Vella ha intervistato Mario Raffaelli, presidente dell’organizzazione di aiuto all’Africa, Amref Italia:RealAudioMP3

R. – E’ una svolta che non inizia oggi, perché da tempo, con l’aumento delle truppe Amisom e il contemporaneo intervento di etiopici e, in parte, dei kenioti, gli shabaab hanno subito una serie di sconfitte sul terreno e, ogni volta, hanno finito per ritirarsi sempre di più in concomitanza con l’inizio di altre offensive. E’ quello che sta accadendo in questi giorni: "ripulita" Mogadiscio, l’Amisom sta cercando di avanzare, liberando il cosiddetto corridoio di Afgoi, che era controllato dai ribelli. Le ragioni di tutto questo, oltre ad una strategia che non inizia oggi, cioè quella di liberare più aree possibili dalla loro presenza, probabilmente è dovuta anche a fattori più sentiti in alcuni degli attori principali dell’area, come, ad esempio, un maggiore protagonismo etiopico – legato anche alle notizie di nuove scoperte di giacimenti petroliferi, oltre a quelli che già si stanno cercando in Etiopia, in particolare in Ogaden. Quindi c’è la necessità di assicurare, agli investitori, una situazione di stabilità, probabilmente, in concomitanza con un certo timore per quello che sta accadendo in Etiopia. Lì, da un po’ di tempo, c’è una tensione che prima non si conosceva all’interno della comunità musulmana.

D. – Come a dire che gli interessi internazionali per il petrolio somalo stanno favorendo, indirettamente, un ritorno alla normalità...

R. – Che si tratti di un ritorno alla normalità è ancora tutto da vedere perché, come sempre accade, alla sconfitta militare degli shabaab non è ancora corrisposta la creazione di istituzioni governative, centrali o locali, che siano tali da mantenere poi il consenso della popolazione e, quindi, forti in modo da prevedere un’uscita delle truppe straniere che sono presenti sul territorio. A tutt’oggi, il contributo militare maggiore é dato da queste truppe e non da quelle governative. Tutti sanno che se non ci fosse la presenza di queste forze, la situazione militare sarebbe diversa. Quindi resta ancora la grande questione di come rafforzare le istituzioni locali e nazionali, in modo che siano riconosciute dal popolo somalo. Il tema, che è stato affrontato nella Conferenza di Londra, ma non risolto, adesso si riproporrà alla Conferenza ad Istanbul dal 31 maggio al primo giugno prossimi.

D. – Questa fase che sta vivendo la Somalia è importante dal punto di vista umanitario per l’apertura di corridoi?

R. – Certamente. Negli ultimi mesi, la situazione umanitaria è migliorata, anche se la situazione rimane molto difficile e quindi la possibilità, per le azioni umanitarie, di avere libertà di accesso e di movimento può contribuire in maniera molto decisa ad alleviare le condizioni di molti sfollati.

D. – Siamo alle soglie di elezioni, di una nuova Costituzione. C’è la speranza che la Somalia ritorni, almeno come facciata, ad essere uno Stato, per così dire, ‘regolare’?

R. – E’ una speranza che, francamente, non sarà facile vedere trasformata in realtà. Anche questa volta, il limite di queste nuove istituzioni, che dovranno andare a sostituire quelle transitorie, è il fatto di essere espressioni di scelte di ‘secondo grado’, nel senso che sia la nuova Assemblea costituente e sia il nuovo Parlamento saranno selezionati da un gruppo di "elders", gli anziani, la cui rappresentatività a volte è certa ed a volte è più discutibile. Perciò, come avvenne nel 2004, c’è un problema di rappresentatività, che forse è ancora più accentuato di allora. Credo che anche avendo nuove istituzioni, rimarrà aperto il problema di un genuino processo, condiviso dai somali, che parta dalla base a livello locale. Mancando ciò, avremo sempre delle istituzioni non del tutto rappresentative.







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