Somalia: offensiva delle truppe regolari contro i ribelli shabaab
In Somalia, alla vigilia di importanti svolte istituzionali come le elezioni, ad agosto,
e l’imminente varo della nuova Costituzione, si registra la pesante offensiva delle
truppe di Mogadiscio, appoggiate dalle forze dell’Unione Africana (Amisom) e di altri
Paesi, contro roccaforti dei ribelli islamici shabaab, legati ad Al Qaeda. Conquistata
un’importante città a nord-ovest della capitale Mogadiscio. Sulle ragioni di questa
svolta, Giancarlo La Vella ha intervistato Mario Raffaelli, presidente
dell’organizzazione di aiuto all’Africa, Amref Italia:
R. – E’ una
svolta che non inizia oggi, perché da tempo, con l’aumento delle truppe Amisom e il
contemporaneo intervento di etiopici e, in parte, dei kenioti, gli shabaab hanno subito
una serie di sconfitte sul terreno e, ogni volta, hanno finito per ritirarsi sempre
di più in concomitanza con l’inizio di altre offensive. E’ quello che sta accadendo
in questi giorni: "ripulita" Mogadiscio, l’Amisom sta cercando di avanzare, liberando
il cosiddetto corridoio di Afgoi, che era controllato dai ribelli. Le ragioni di tutto
questo, oltre ad una strategia che non inizia oggi, cioè quella di liberare più aree
possibili dalla loro presenza, probabilmente è dovuta anche a fattori più sentiti
in alcuni degli attori principali dell’area, come, ad esempio, un maggiore protagonismo
etiopico – legato anche alle notizie di nuove scoperte di giacimenti petroliferi,
oltre a quelli che già si stanno cercando in Etiopia, in particolare in Ogaden. Quindi
c’è la necessità di assicurare, agli investitori, una situazione di stabilità, probabilmente,
in concomitanza con un certo timore per quello che sta accadendo in Etiopia. Lì, da
un po’ di tempo, c’è una tensione che prima non si conosceva all’interno della comunità
musulmana.
D. – Come a dire che gli interessi internazionali per il petrolio
somalo stanno favorendo, indirettamente, un ritorno alla normalità...
R. –
Che si tratti di un ritorno alla normalità è ancora tutto da vedere perché, come sempre
accade, alla sconfitta militare degli shabaab non è ancora corrisposta la creazione
di istituzioni governative, centrali o locali, che siano tali da mantenere poi il
consenso della popolazione e, quindi, forti in modo da prevedere un’uscita delle truppe
straniere che sono presenti sul territorio. A tutt’oggi, il contributo militare maggiore
é dato da queste truppe e non da quelle governative. Tutti sanno che se non ci fosse
la presenza di queste forze, la situazione militare sarebbe diversa. Quindi resta
ancora la grande questione di come rafforzare le istituzioni locali e nazionali, in
modo che siano riconosciute dal popolo somalo. Il tema, che è stato affrontato nella
Conferenza di Londra, ma non risolto, adesso si riproporrà alla Conferenza ad Istanbul
dal 31 maggio al primo giugno prossimi.
D. – Questa fase che sta vivendo la
Somalia è importante dal punto di vista umanitario per l’apertura di corridoi?
R.
– Certamente. Negli ultimi mesi, la situazione umanitaria è migliorata, anche se la
situazione rimane molto difficile e quindi la possibilità, per le azioni umanitarie,
di avere libertà di accesso e di movimento può contribuire in maniera molto decisa
ad alleviare le condizioni di molti sfollati.
D. – Siamo alle soglie di elezioni,
di una nuova Costituzione. C’è la speranza che la Somalia ritorni, almeno come facciata,
ad essere uno Stato, per così dire, ‘regolare’?
R. – E’ una speranza che, francamente,
non sarà facile vedere trasformata in realtà. Anche questa volta, il limite di queste
nuove istituzioni, che dovranno andare a sostituire quelle transitorie, è il fatto
di essere espressioni di scelte di ‘secondo grado’, nel senso che sia la nuova Assemblea
costituente e sia il nuovo Parlamento saranno selezionati da un gruppo di "elders",
gli anziani, la cui rappresentatività a volte è certa ed a volte è più discutibile.
Perciò, come avvenne nel 2004, c’è un problema di rappresentatività, che forse è ancora
più accentuato di allora. Credo che anche avendo nuove istituzioni, rimarrà aperto
il problema di un genuino processo, condiviso dai somali, che parta dalla base a livello
locale. Mancando ciò, avremo sempre delle istituzioni non del tutto rappresentative.