Festival di Cannes: gli ultimi film si interrogano sul mistero della morte
Un viaggio senza senso in una metropoli del futuro prossimo, in preda alla decadenza
e all’anarchia. Un vagabondaggio disperato nella foresta, seguendo le tragiche dinamiche
della Seconda guerra mondiale, la traiettoria inesorabile di uno scrittore, abitato
da un lucido delirio. Iniziato nel segno della vita e dell’amore, con tre degli ultimi
film in programma, il 65.mo Festival di Cannes affronta infine la prova suprema della
morte. Tratto da un romanzo breve di Don DeLillo, “Cosmopolis” di David Cronenberg
proietta lo spettatore nel caos di un agglomerato urbano dove ogni evento non ha più
alcun limite definito. A bordo di una limousine, un giovane genio della finanza segue
l’evoluzione della situazione sociale ed economica, in una giornata che di appuntamento
in appuntamento lo condurrà alla sua fine. Utilizzando come protagonista una giovane
star, idolatrata dal pubblico adolescenziale, il regista canadese contiene la sua
abituale visionarietà nelle forme di una messa in scena fredda, lucida, distante.
Recitato come un testo teatrale negli spazi ristretti della limousine, il film contiene
dialoghi profetici sull’eterno gioco dei ruoli, sul vacuo potere dei soldi, sull’inconsistenza
delle ambizioni terrene, sulla fine di un sistema che nutre pochi privilegiati a scapito
dell’umanità. Se la conclusione di “Cosmopolis” è ipotetica e amara, già scritta e
sicuramente tragica è quella di “In the fog”, del russo Sergei Loznitsa. Qui l’azione
si sposta in Bielorussia, negli anni che seguirono l’invasione nazista, fra tedeschi,
collaborazionisti e resistenti. Protagonista un manovale delle ferrovie, vittima di
una di quella contraddizioni assurde che avvelenano la vita. Implicato, suo malgrado,
in un sabotaggio, sopravvive all’esecuzione, ma è sospettato di collaborazione col
nemico. Il suo destino è segnato e il lungo peregrinare nei boschi in compagnia dei
due partigiani incaricati di fucilarlo non farà che allungare i tempi ineluttabili
della sua fine. Loznitsa, già documentarista di sublime talento, è un cineasta attento
ai tempi e ai modi attraverso i quali esprimere la sua profonda spiritualità. Nelle
immagini del film essa si manifesta nel faticoso incedere dei corpi, negli sguardi
perduti, nei mutismi rassegnati, nella pietà dei gesti, nell’assordante evidenza di
un discorso che lascia intravvedere verità e menzogna ma non pone rimedio all’ingiusto
incedere dell’esistenza. Chi ha deciso invece, con supremo orgoglio, della propria
sorte è Yukio Mishima, autore nel 1970 di un suicidio che fece scalpore. Attento ai
momenti chiave della storia del suo Paese, Koji Wakamatsu ne segue la parabola esistenziale
con il film “11/25 The day Mishima chose his own fate”. La messa in scena del regista
giapponese, che nel recente passato, con “United red army”, ha raccontato l’attività
di un gruppo terrorista di estrema sinistra, si concentra qui sugli eventi che fecero
di uno scrittore di grande talento un fanatico di estrema destra, fustigatore della
corruzione postbellica e convinto difensore delle tradizioni. Unendo momenti di ricostruzione
biografica a spezzoni documentari, il film è animato da una grande tensione narrativa
e finisce per essere una lucida analisi della Storia. Mishima resta un eroe tragico
e Wakamatsu sicuramente non ne condivide le scelte. Ma rispettandone la figura intellettuale,
gli concede l’omaggio di un’umana pietà. (Da Cannes, Luciano Barisone)