Brasile. La presidente Rousseff modifica il Codice forestale in difesa dell'Amazzonia
In Brasile la presidente Dilma Rousseff ha vietato parti di testo del nuovo Codice
forestale recentemente approvato dal Parlamento. Una decisione che tutela la foresta
Amazzonica. In tutto, il capo di Stato ha abolito 12 articoli e apportato 35 modifiche
di contenuto che mirano all’esclusione del condono per i disboscatori. La normativa
garantirebbe anche l'obbligo di recupero ambientale. Ora il testo modificato torna
al Congresso. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con il prof. Giulio
Rizzo esperto dell’area brasiliana ed autore del libro “Amazzonia co yvy ore retama.
Distruzione, sopraffazione, speculazione”, edito da Gangemi:
R. – Indubbiamente
questa decisione della Rousseff è un’evoluzione rispetto alla normativa esistente,
la continuazione di un processo iniziato nel decennio passato da Lula, ed è indubbiamente
il rafforzamento di un processo sociale che ha visto in Brasile, una quantità sempre
crescente di organismi, di personalità attivarsi su questo fronte. La stessa Conferenza
episcopale brasiliana ha denunciato questa situazione più volte. Il processo di oggi
è un percorso che inizia molti anni fa, il Brasile è uno dei Paesi che ha una grande
anzianità di riflessione sugli aspetti ecologico-ambientali e su quelli paesaggistici.
D.
– Questo, però, non ferma la fame di terreno che hanno i produttori di legno, gli
allevatori e gli interessi internazionali...
R. – I problemi più grandi sono
lo sfruttamento del legno ed il pascolo. Non dimentichiamo che il costo di un ettaro
di terra, in Amazzonia, è uguale al costo di un chilo di insalata. Questo spiega perché
grandissime aziende hanno immense proprietà in Brasile, iniziando dalla Manasa - Madereira
Nacional S/A (4.140.767 ettari); Jari Florestal e Agropecuária Ltda. (2.918.892 ettari);
Aplub Agrofloestal da Amazônia (2.194.874 ettari); e via di seguito per arrivare
a coloro che posseggono meno come Rômulo Bonalumi (406.121 ettari) e Mapel Marochi
Agrícola e Pecuária Ltda (398.786 ettari). Si occupano tutte dello sfruttamento del
legno, per non parlare poi di tutte quelle proprietà acquisite dalle industrie farmaceutiche
per lo sfruttamento delle molecole presenti in molte piante brasiliane. Poi c’è la
questione della pressione antropica dello sviluppo di nuove città. In questo scenario
un organismo internazionale come la Banca Mondiale ha finanziato, per decine e decine
di milioni di dollari, dagli anni Sessanta in poi, la cosiddetta ‘frontiera dell’avanzamanto
bandeirantes’, in Amazzonia – ossia l’avanzamento dell’occupazione umana dell’Amazzonia
-. Di fronte a tutto questo ci si rende conto che lo Stato brasiliano ed il governo
federale hanno poche risorse per combattere interessi enormi, ma comunque lo fanno.
D. – Un altro drammatico fenomeno è quello degli incendi...
R. – Ogni
giorno, in piena Amazzonia, vengono segnalati qualcosa come 200, 300 focolai di incendi.
Questo è principalmente dovuto all’espansione agricola ed a quella legata all’allevamento
dei bovini. Oggi, in Amazzonia, sono presenti 80 milioni di capi.
D. – Poi
c’è anche la coltivazione della soia...
R. – Un’azienda prima di tutto deforesta:
abbatte gli alberi per ricavarne legname. Dopodiché, ad avanzare sono gli agricoltori,
soprattutto per quanto riguarda la produzione della soia. Finito questo, si brucia.
E quando si è bruciato, per 20 anni su quel terreno non succede più niente, perché
l’humus dell’Amazzonia è delicatissimo.
D. – E’ in atto un duro braccio di
ferro sul nuovo Codice forestale. Il vecchio, che è ancora in corso, che cosa diceva?
R.
– Diceva che un’azienda non può deforestare più del 50 per cento del suo possedimento.
Ma io proprietario intestatario, dopo che ho deforestato questo 50 per cento, vendo
l’altro 50 per cento a mio fratello, lui a sua volta può deforestare la sua parte.
E questo discorso va avanti all’infinito. Se possiedo ad esempio tre milioni di ettari
come una delle aziende prima citate, ne posso deforestare un milione e cinquecentomila,
ossia un territorio grande due volte l’Italia.
D. – Storicamente, quando si
inizia a deforestare in un modo così massiccio?
R. – Dobbiamo risalire ad Henry
Ford, il padrone della Ford. Nel 1934, nel cuore dell’Amazzonia, fondò una città che
si chiamava ‘Fordlandia’ per lo sfruttamento del caucciù. A quell’epoca il caucciù
rappresentava una delle massime frontiere. Acquisì una quantità enorme di terreno
ed iniziò questo sfruttamento. Morto il figlio, nel 1942, egli si disinteressò di
‘Fordlandia’, e nel 1945 cedette quest’enorme proprietà al governo brasiliano per
la cifra simbolica di 250 mila dollari, a fronte di un investimento iniziale di 30
milioni di dollari. E da allora si continuò a deforestare e a fondare nuove città.
D.
– Da dov’è partita la distruzione di questo polmone del mondo?
R. – E’ partita
dagli Stati centrali del Brasile – Mato Grosso, Tocantins, Bahia e così via – e, pian
piano, questa frontiera si è espansa verso il nord-ovest. Si tratta di un processo
che nel corso di un secolo è avanzato di quasi 10 mila chilometri. E se si continua
con questo ritmo, alla fine di questo secolo si raggiungerà la frontiera del Brasile,
quella nord-ovest. E l’Amazzonia, a quel punto, non ci sarà più.
D. - Qual
è, quindi, l’auspicio di fronte a questa situazione?
R. – L’auspicio è che
il movimento dei ‘senza terra’, gli indios e i cosiddetti “derelitti dell’Amazzonia”
non vengano lasciati soli a combattere contro degli interessi che sono sovrumani rispetto
a loro. C’è un movimento, su internet, e le email che girano sono veramente tante,
ma occorre anche che ci sia una pressione da parte di forti organismi internazionali.
Perché un’organizzazione accreditata ed ascoltata come l’Unesco non fa una battaglia
in questa direzione?