Il contributo del volontariato italiano di fronte alla crisi del Paese
Strade nuove per l’Italia: il MoVi, Movimento di Volontariato Italiano, promuove a
Roma dall'1 al 3 giugno un laboratorio aperto a volontari, associazioni, reti, movimenti,
società civile per un confronto a tutto campo sull’oggi del Paese e sulla responsabilità
verso il futuro. Un laboratorio in cui il primo passo sarà quello di prendere atto
che la crisi in corso non è di passaggio, ma può essere un’opportunità per costruire
comunità più solidali. Al microfono di Adriana Masotti,Franco Bagnarol,
presidente del MoVi:
R. – Ci hanno
detto, nel 2008, che la crisi era passeggera. In seguito la crisi è stata negata e
da ottobre dello scorso anno abbiamo preso atto che dovremo convivere con la crisi,
dovremmo capirne le ragioni, soprattutto in riferimento a una crisi strutturale, antropologica,
culturale, che ci metterà in condizione di cambiare effettivamente anche modo di vivere,
modo di pensare. Occorre che anche i volontari, i cittadini comuni, abbiano a tutti
i costi una presa di coscienza, per capire dove ci si evolve, in che modo ci indirizzeremo
verso il futuro, perché la crisi dà ansia, dà l’idea di un impoverimento …
D.
– Appunto, durante il convegno vi porrete una domanda fondamentale: è possibile essere
felici pur essendo più poveri?
R. – E’ proprio questa la risposta intelligente
da dare… Credo che l’attuale situazione derivata dalla crisi ci porterà ad avere una
condizione di mezzi diversi, di mezzi più semplici e più poveri. Essere capaci di
vivere in maniera positiva vuol dire essere in grado di misurarsi non solo con mezzi
minori, ma con una capacità di distribuire meglio i beni, di capire che lo stile di
vita che noi viviamo ora è assolutamente improponibile, che non c’è compatibilità
con la situazione. Rispetto a questi scenari, l’idea di ripensare alla felicità, perché
siamo capaci di condividere, di camminare insieme con le persone, di prendersi carico,
di ricreare nuovi rapporti, è una risposta di valori, di senso, che si dà al cambiamento.
D.
– Proprio di fronte a questa alternativa - maggiore chiusura e individualismo, oppure
una nuova solidarietà - si pone la questione del volontariato e sul dove deve andare
il volontariato oggi…
R. – Il volontariato oggi viene da questi mondi fatti
di assistenza, fatti di culture talvolta un po’ protezionistiche... in questa fase
il volontariato servirà molto di più perché ci sarà più gente ad averne bisogno, non
solo gli ultimi ma anche i penultimi, cioè il ceto medio impoverito avrà una vulnerabilità
molto forte: il volontariato cosa dovrà fare? Dovrà diventare un luogo dove si fa
sensibilizzazione, dove si lavora per i diritti, per un cammino utile a realizzare
la giustizia, un volontariato un po’ più scomodo, non un volontariato che rispetto
alle istituzioni è lì che guarda e aspetta di riuscire ad avere qualche prebenda.
No, è finito questo! Oggi bisogna che un volontariato adulto rivendichi i diritti
e rivendichi un modo nuovo di relazionarsi con le persone perché di questo c’è bisogno.
D.
–Vuol farci qualche esempio concreto di questa novità di stili di vita? Che cosa si
intende riguardo all’economia, all’ambiente, alla politica?
R. – Su questo
noi abbiamo fatto un censimento e abbiamo trovato una galassia infinita di gruppi
che partono dalla tutela dei diritti dei beni comuni come l’acqua, l’aria, il territorio…
C’è tutta una catena di soggetti, persone, iniziative concretissime, dai gruppi di
acquisto solidale ai bilanci di giustizia e altri infiniti gruppi che danno una testimonianza
ricchissima di un modo nuovo di condividere, di fare le cose, che vuol dire un cambio
di mentalità. Quindi non c’è altro che l’imbarazzo della scelta nella casistica di
un nuovo modo di essere oggi cittadini attivi.
D. – Le tre giornate di Roma
dei primi di giugno vogliono essere un confronto tra tutte queste realtà, ma anche
un tentativo di mettere in collegamento e in rete queste diverse strutture?
R.
– Il volontariato italiano fatica talvolta a riflettere ad alta voce perché è molto
disomogeneo. Il nostro laboratorio vuole in qualche modo avviare un processo e mettere
in rete tutti i soggetti che intendono lavorare per il cambiamento. Le tre giornate
significano collegarsi, coscientizzarsi, sognare utopie, ma vedere anche i campi concreti
in cui poter operare e in più far pressione sui vari organismi per dire che il volontariato
sta cominciando questa riflessione. Anche perché abbiamo un appuntamento importante,
il 5-6-7 ottobre a L’Aquila, dove ci sarà la conferenza nazionale del volontariato
in cui il nostro piccolo laboratorio, per cui prevediamo 300-400 persone, possa essere
poi portato a un confronto nazionale e a una sintesi in altre sedi.