Congo. Nel Kivu si combatte da aprile: il governo minimizza
Le violenze in corso da inizio aprile in Nord Kivu sono guerra a tutti gli effetti
anche se il governo di Kinshasa sta cercando di minimizzare o oscurare la realtà:
a sottolinearlo, da Rutshuru a Goma, il capoluogo della turbolenta provincia del Nord-Kivu
(nord-est), sono missionari e fonti della società civile contattate dall’agenzia Misna.
“Qui in alcune parrocchie di Rutshuru, località a una decina di chilometri dal confine
con l’Uganda, – dice una fonte che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza – ci
sono almeno 400 famiglie sfollate”. Da ieri non si sente più sparare ma la gente continua
a essere molto preoccupata. Ad accrescere i loro timori contribuisce senz’altro la
confusione circa l’identità delle forze che combattono e la vera causa del riaccendersi
delle violenze”. Agli scontri tra l’esercito regolare delle Fardc e militari disertori
confluiti nel nuovo Movimento del 23 marzo (M23) si aggiungono violenze commesse dai
ribelli delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr) e da milizie
Mayi Mayi in azione sia nel Nord-Kivu che nel Sud-Kivu. Difficile avere notizie certe.
Si parla di un centinaio di persone uccise in più villaggi dei territori di Masisi
e Walikale, ma non c’è conferma. Stesse discordanze sui dati su sfollati e rifugiati
nei paesi frontalieri. Per l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) da fine
aprile oltre 80.000 persone sono scappate dagli scontri; di queste almeno 40.000 sarebbero
sfollati interni. Circa 9.000 congolesi sono stati registrati in Rwanda. Scappano
anche in Uganda: nella sola giornata di martedì, l’Unhcr ha censito un migliaio di
nuovi ingressi sul territorio ugandese. A Goma, capoluogo provinciale al confine con
il Rwanda, dal punto di vista della sicurezza la situazione è meno ‘grave’ rispetto
a quella dei piccoli villaggi dei territori di Rutshuru e Masisi. “Qui – racconta
una fonte della Misna che conosce bene la zona – sono arrivati migliaia di sfollati,
accolti da parenti, amici e nelle parrocchie, ma è difficile sapere con precisione
quanti siano”. Il conflitto che colpisce zone a forte vocazione agricola, come il
Masisi, ha già causato un aumento dei prezzi delle foglie di manioca e dei fagioli,
alla base della alimentazione locale”. “La popolazione prova paura ma soprattutto
rabbia. Rabbia nei confronti del potere che rilascia false dichiarazioni, nega la
gravità del conflitto o peggio ancora sostiene che la situazione è sotto controllo”,
aggiunge l’interlocutore della Misna, denunciando anche “l’inutilità della Monusco
(la missione Onu che conta 20.000 uomini) presente ovunque ma che non fa nulla di
concreto per tutelare i civili” e “l’inazione delle innumerevoli Organizzazioni non
governative che non stanno portando l’assistenza umanitaria di cui la popolazione
ha bisogno”. La stessa fonte sottolinea che ufficialmente i combattimenti in corso
sono presentati come conseguenza diretta della caccia al generale Bosco Ntaganda,
capo dell’ex gruppo ribelle del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp)
ricercato dalla Corte Penale Internazionale, Cpi, tra la gente cresce il sentore che
“non sia quella l’unica o la vera ragione della guerra”. Per fonti locali della società
civile, giornalisti e osservatori, ci sono elementi che comproverebbero il coinvolgimento
del Rwanda nella nuova ondata di scontri nella ricca provincia mineraria, già teatro
di un conflitto per il controllo sul ricco sottosuolo. “Apparentemente siamo di fronte
a uno Stato nello Stato. Ufficiali delle Fardc, del Cndp e altri signori della guerra
delle varie milizie dettano legge, ciascuno a modo suo. Il Nord-Kivu è diventato una
vera giungla”, scrive il quotidiano congolese Le Potentiel, denunciando un “ritorno
in forza sul terreno dei ribelli hutu ruandesi” e “l’occupazione di vaste aree della
provincia da parte di popolazioni ruandesi che fanno affari nello sfruttamento e nella
vendita del coltan”. (F.S.)