Afghanistan: visita a sorpresa di Hollande, ritiro delle truppe entro il 2012
In Afganistan, il neopresidente francese Francois Hollande, ha confermato, come annunciato
in campagna elettorale, il ritiro delle truppe entro il 2012. Il capo dell’Eliseo,
in una visita a sorpresa, parlando ai militari francesi dispiegati nella provincia
nord-orientale di Kapisa, ha sottolineato che la decisione appartiene alla “sovranità
della Francia” e che il ritiro sarà coordinato con le forze della Nato. Intanto, sul
terreno non si arresta la violenza. Tre bombe in diverse zone del Sud hanno ucciso
complessivamente tre persone e ne hanno ferite nove. Massimiliano Menichetti
ha parlato del rientro in patria dei soldati francesi con Pietro De Carli,
esperto di cooperazione per diversi anni a Kabul ed autore del libro “Afghanistan
nella tempesta. La farsa della ricostruzione”, edito dal Gruppo "Albatros Il Filo":
R. - Diciamo
che c’è un processo che va in questa direzione, tant’è che anche dal Vertice della
Nato di Chicago è stata presa la decisione che entro il 2015, comunque, la Comunità
internazionale lascerà l’Afghanistan, anche se lo sosterrà economicamente. L’esito
fallimentare di quest’operazione, che si è protratta in questo decennio, ha portato
purtroppo a questo risultato: al momento questa è l’unica via di uscita che la Comunità
internazionale ha intravisto, anche se con maggior gradualità rispetto alla Francia.
Il pericolo, comunque, è che l’Afghanistan - anziché stabilizzarsi - ricada nuovamente
in una guerra civile.
D. - In uno scenario come quello afghano, però, molte
comunque sono state delle iniziative che hanno puntato alla ricostruzione, anche se
di questo non se ne è parlato molto. E’ così?
R. - Sì, in effetti non c’è stata
molta divulgazione su ciò che è stato fatto. E penso a tutti i progetti di emergenza
umanitaria che sono stati fatti dalle Nazioni Unite, nei quali tutti i Paesi della
Comunità internazionale sono intervenuti; penso alla cooperazione italiana e agli
interventi nel settore della sanità, delle scuole; penso alle petizioni fatte dagli
afghani per chiedere che la cooperazione italiana rimanesse in alcune zone a sostenere
le cliniche in aree remote; penso alla bandiera italiana che sventola ancora sul tetto
di una clinica al fianco di quella afghana, laddove la cooperazione italiana ha ricostruito
un ospedale che era stato distrutto da un terremoto. Quindi, quando l’approccio è
avvenuto in questi termini, c’è stato un rapporto di solidarietà che si instaura e
diventa forte; quando, invece, la presenza è soltanto di tipo militare - nonostante
tutti gli sforzi e nonostante tutta la buona volontà - è purtroppo difficile raggiungere
degli obiettivi.
D. - Una ricostruzione che, in un certo qual modo, non è stata
cosi: anzi il contrario, dunque…
R. - La ricostruzione del Paese non ha ottenuto
gli impegni finanziari che erano stati presi. E’ stato, invece, prevalente l’impegno
militare: io in Afghanistan sono stato dal 2003 fino al 2007 e noi abbiamo gestito
dei progetti di cooperazione in nove province dell’Afghanistan. Qui c’era la possibilità
di fare ancora delle cose… Poi la ricostruzione non è avvenuta, gli sforzi finanziari
dei Paesi della Comunità internazionale si sono concentrati sull’impegno militare:
questo non ha prodotto quei risultati di fiducia e quelle aspettative che il Paese
si attendeva per il miglioramento delle proprie condizioni di vita. Purtroppo è accaduto
questo!
D. - In questo scenario il governo Karzai perde - diciamo - credibilità,
torna ad affermarsi la strategia del terrore dei talebani e la popolazione è sempre
più in difficoltà. Come se ne esce?
R. - Quando Lakhdar Brahimi, rappresentante
speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan - dal 2001 al 2004 - tentò di portare
alla Conferenza anche i talebani, per cercare di uscire con un progetto che fosse
di riconciliazione nazionale effettiva, ci fu l’opposizione dell’allora Amministrazione
americana, che impedì che ciò avvenisse. Poi questo discorso è stato ripreso negli
anni, ultimamente, anche lo stesso presidente Obama lo ha riproposto. Però mentre
allora erano perdenti e quindi sarebbe stato possibile anche che buona parte dei talebani
aderisse a questo progetto; oggi è più difficile, anche se probabilmente è l’unica
soluzione: se non si tratta con il nemico, non si riuscirà mai ad evitare lo scontro
e il conflitto. Karzai avrebbe bisgono - ancora una volta - di aiuti economici per
la ricostruzione: però quello che ha chiesto al Vertice Nato sono i soldi per finanziare
il proprio esercito. Purtroppo questo non è uno scenario di prospettiva positiva per
l’Afghanistan.
D. - A pagare le spese di tutto questo è la popolazione afghana?
R.
- La popolazione ha avuto grandi aspettative: alle prime tornate elettorali hanno
partecipato in massa, sfidando le minacce dei talebani; anche le donne - il 70 per
cento delle donne - che come sappiamo non potevano uscire di casa, né lavorare e né
studiare, sono uscite e sono andate a votare. C’era una grande aspettativa di cambiamento
per questo Paese! Purtroppo, soprattutto con la riproposizione dei "signori della
guerra" al potere, la ripresa del traffico dell’oppio che è riesploso e ha raggiunto
il 90 per cento della produzione mondiale dell’eroina, e la corruzione, è ritornata
in auge una situazione che purtroppo ha avvilito il Paese. Teniamo conto che l’Afghanistan
ha un tasso di povertà, sottosviluppo, e mortalità che lo relega al 173.mo posto nella
graduatoria di 178 Paesi: 32 milioni di abitanti, la metà dei quali con una età inferiore
ai 15 anni... Indici, questi, che danno idea di un Paese stremato dalla guerra che
non finisce mai e che ha conosciuto soltanto conflitti, guerre e distruzioni. E’ un
Paese interamente distrutto: strade, ponti… E’ un Paese che non sa ancora che cos’è
la pace!
D. - Che cosa bisognerebbe fare concretamente?
R. - Bisognerebbe
che tutte le nazioni della regione venissero coinvolte: anche il Pakistan, che ha
permesso ai talebani, nel proprio territorio, di riorganizzarsi ancora oggi; un Paese
che vive anche di appoggi dell’Occidente. Voglio dire quindi che bisogna coinvolgere
tutti i Paesi in una strategia che veda una rinascita economica della regione più
in generale e in questa ottica anche dell’Afghanistan, togliendo spazio alle forze
pericolose del terrorismo fondamentalista islamico.