L'Ue si prepara all’uscita della Grecia dall’Euro, indebolito l'asse Parigi-Berlino
L'Ue vuole che la Grecia resti nell'Euro, a patto che rispetti gli impegni presi.
E intanto si prepara anche a gestire le conseguenze di una sua uscita dall'Eurozona.
Questo, in sintesi, il messaggio lanciato ieri ad Atene dal vertice Europeo. Molti
analisti puntano sul fatto che non sembra diffusa la consapevolezza che quel passo
segnerebbe con molte probabilità la fine dell’Euro. Salvatore Sabatino ne ha
parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia dell’Integrazione Europea
presso l’Università Bocconi di Milano:
R. – L’uscita
possibile, anche se mi auguro non probabile della Grecia dall’Euro - perché alla fine
dipende dal loro percorso democratico - sarebbe a mio avviso contenibile nel breve
periodo, attraverso l’uso di vari strumenti che abbiamo già – la Banca Centrale Europea
e il fondo salva Stati – ma manderebbe il segnale che questo Euro non è irreversibile,
come invece si percepiva. Quindi, a quel punto, per salvare nel medio periodo l’Euro
sarebbe necessario davvero un passo avanti nel percorso di integrazione.
D.
– Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, continua a lanciare
allarmi sull’effetto domino, allarmi che però non vengono ascoltati...
R. –
Io ho la sensazione che evidentemente ci si stia preparando a tagliare questo effetto
domino, quindi a togliere la pedina che dalla Grecia poi si sposterebbe sugli altri
Paesi. I Paesi staranno in qualche maniera predisponendo dei piani di emergenza al
riguardo. Per cui da questo punto di vista, penso che tale effetto domino possa essere
in qualche modo controllato. Il problema è che non possiamo dirlo apertamente, perché
se facciamo sapere ai cittadini greci che noi ci stiamo convincendo che loro usciranno,
è razionale per i cittadini greci andare in banca e prendere i loro Euro, ma se fanno
così la Grecia non arriverà al 17 giugno, uscirà prima dall’Euro.
D. – Per
uscire fuori da questa situazione si rende necessario, a questo punto, il varo degli
“Eurobond”, ossia la trasformazione dei debiti pubblici dei Paesi membri, almeno per
una parte rilevante, in debito europeo. La Germania, però, continua ad essere fortemente
contraria. L’indebolimento della Merkel sul piano internazionale, secondo lei, può
cambiare le carte in tavola?
R. – Sì, ma non sul tema “Eurobond”, nel senso
che non è vero che gli Eurobond sono la soluzione alla crisi in questa fase. Gli Eurobond
sono la soluzione nel medio periodo, ma richiedono modifiche costituzionali, modifiche
dei trattati, non possono avvenire nello spazio di due mesi. Quello che serve in questa
fase è un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie a livello europeo, una ricapitalizzazione
delle banche a livello europeo, un meccanismo di supervisione delle banche a livello
europeo e un’assicurazione sui depositi bancari a livello europeo. In pratica, devo
essere sicuro che i miei soldi in banca resteranno garantiti, non perché me li garantisce
l’Italia, ma perché me li garantisce l’Europa. Questo spegnerebbe nel breve periodo
la crisi ed eviterebbe l’effetto domino. Di questo ieri si è parlato e ci sono buone
possibilità per il raggiungimento di un accordo. Volutamente a questa cosa non è stata
data troppa enfasi. Continuiamo ufficialmente a parlare di Eurobond, ma sappiamo che
in realtà la storia è un’altra.
D. – Sul fronte degli equilibri interni europei
c’è da constatare la nuova alleanza tra Francia e Italia, mentre l’asse Parigi-Berlino
sembra sempre più debole. Questo vuol dire che è finito il momento del rigore spinto?
R.
– Sì, quello penso di sì. La Merkel anche su questo ha fatto importanti aperture,
anche nei confronti della Grecia. Tornando sul tema della soluzione Eurobond piuttosto
che al meccanismo di salvaguardia delle banche, evidentemente qualunque di queste
soluzioni coinvolgerebbe la Germania e quindi la messa in comune di garanzie e o di
debito da parte dei cittadini tedeschi. Al momento la Germania è restia, come sappiamo,
su entrambe le opzioni, ma l’isolamento internazionale della Merkel, anche nei confronti
degli Stati Uniti - non dimentichiamoci che il presidente Obama ha un fortissimo interesse,
anche politico, che l’Europa non crei problemi all’economia americana, in funzione
della sua rielezione - questo isolamento potrebbe in qualche modo ammorbidire la posizione
della leader tedesca.
D. – Quest’asse invece tra Monti e Hollande, come lo
definisce?
R. – Storicamente la posizione italiana è sempre stata di compromesso
tra un rapporto conflittuale che c’è stato in passato tra Francia e Germania. Fino
a ieri eravamo alleati dei tedeschi sul fronte dell’austerità, perché comunque all’austerità
non possiamo derogare, dall’altro lato, evidentemente, quando questa austerità dovesse
essere troppo rigida, facciamo un’asse con Hollande per portare avanti le posizioni
compromesse. Quindi, l’Italia è sempre stata strumentale tra Francia e Germania a
creare le posizioni di compromesso su cui l’Europa è andata avanti. Per cui non mi
stupisce vedere Monti "a braccetto" con la Merkel a febbraio e Monti "a braccetto"
con Hollande, per così dire, oggi. L’importante è che questi tre continuino a parlarsi.
E’ da questo “trialogo” e non dal dialogo che nasce la soluzione europea alla crisi.