Condanne a morte, tortura e repressione. Le violazioni dei diritti umani nel Rapporto
Amnesty 2012
La libertà di espressione è negata in almeno 91 paesi. In 101 si registrano maltrattamenti
e torture, in 21 sono state eseguite condanne a morte e oltre 18mila prigionieri si
trovano nei bracci della morte. Sono alcune delle violazioni contenute nel rapporto
annuale di "Amnesty International", che sottolinea come il 2011 sia soprattutto stato
un anno di proteste senza precedenti, manifestazioni che hanno dato vita ad un movimento
globale spontaneo di persone, che hanno trascorso giorni e settimane in strada dimostrando
che il cambiamento è possibile. Il servizio di FrancescaSabatinelli:
Da una parte
il 2011 è stato segnato dal coraggio di popolazioni che si sono attivate per pretendere
libertà, dignità e giustizia, e che sono riuscite a ottenere, in alcuni casi, importanti
risultati. Dall’altra, lo scorso anno, è stato anche segnato dall’inasprimento della
repressione dei governi in tutti i Paesi "contagiati" dal virus della protesta. Molto
grave la situazione in Siria. ChristineWeise, presidente di Amnesty
Italia.
“In Siria ormai abbiamo contato più di novemila persone morte durante
e dopo le proteste, persone che sono state uccise. Decine di migliaia sono le persone
che vengono torturate. E’ un attacco contro la popolazione civile che ha tutti i criteri
di un crimine contro l’umanità, perché la tortura, usata in maniera massiccia come
si sta facendo adesso in Siria, è un crimine contro l’umanità. Noi abbiamo documentato
come il regime di Assad osservi le manifestazioni in tutto il mondo davanti alle ambasciate,
vendicandosi poi sui genitori, rimasti in Siria, dei manifestanti all’estero. Insomma,
stanno veramente attuando una strategia di repressione fortissima. Per quanto riguarda
le violazioni commesse da parte dell’opposizione, Amnesty International ancora non
le ha documentate. E’ ovvio che con il tempo si stia formando un’opposizione che sta
cercando di armarsi. Su questo vigileremo e Amnesty International, come sempre imparziale,
documenterà anche le violazioni dall’altra parte”.
Nonostante gli importanti
passi avanti fatti, in Egitto, così come Tunisia, si registrano ancora violazioni
soprattutto contro le donne. In vista delle elezioni parlamentari in questi due Paesi,
Amnesty ha chiesto ai partiti di impegnarsi a difendere i diritti delle donne senza
però ricevere risposta. Particolarmente preoccupante poi ciò che sta accadendo in
Libia, dove è ancora diffusa la tortura e dove in alcuni casi è accertato che sia
stata mortale:
“Lo stesso nuovo governo sostiene di non essere in grado
di controllare la situazione. E’ un problema di milizie che agiscono in varie zone
del Paese, e che effettivamente non sono sotto il controllo del governo. Quindi, il
primo compito importante del governo deve essere proprio quello di controllare le
azioni di queste milizie e di garantire la sicurezza per le persone della società
civile. C’è anche un altro fatto: diverse minoranze etniche, che sono sospettate globalmente
di essere sostenitrici di Gheddafi, adesso subiscono dei fortissimi attacchi razzisti,
non solo di discriminazione, ma di vera e propria persecuzione violenta”.
Nel
2011, milioni di persone sono scese in piazza in Nord Africa e poi nel mondo intero,
da Mosca a Londra, da Atene fino a Dakar, Kampala, Phnom Penh e Tokyo. In molti di
questi Paesi, però, esponenti dell’opposizione hanno subito violazioni e sono stati
ridotti al silenzio. E in molti casi l’opinione internazionale si è voltata dall’altra
parte di fronte alle violazioni dei diritti dei manifestanti:
“Nel Bahrein
si è svolto il Gran Premio di Formula 1 e intanto il regime, che si vuol sempre dimostrare
molto aperto e molto moderno, continua invece a reprimere la popolazione. In Azerbaigian
sabato sera ci sarà la finale del concorso della canzone europea Eurovision. L’Italia
è tornata a partecipare dall’anno scorso, dopo venti anni di assenza. Quindi, vi andrà
anche una nostra artista. Dunque, si accendono i fari di tutta l’Europa sull’Azerbaigian
e su Baku, che cerca di dimostrarsi un Paese moderno, un Paese europeo, ma che contemporaneamente
reprime le manifestazioni: mette in prigione i blogger e i giornalisti. In questi
giorni, alcune manifestazioni sono state represse con la violenza e i media europei
ne stanno parlando pochissimo”.
Il fallimento delle leadership, documentato
dalla brutalità o dall’indifferenza con le quali i dirigenti politici hanno risposto
alle proteste, ha indebolito fortemente il consiglio di sicurezza dell’Onu, rendendolo
inadeguato rispetto al suo ruolo. Amnesty chiede di intervenire duramente, e non solo
per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani in Siria.
“Quarantamila
persone sono state uccise negli ultimi mesi del conflitto in Sri Lanka e non sono
intervenuti per niente. Quindi, non è solo il Nord Africa per cui abbiamo chiesto,
e chiediamo, che il Consiglio di Sicurezza abbia una guida forte anche nella tutela
dei diritti umani, ma anche per altri casi importanti, come appunto lo Sri Lanka,
o come i territori occupati da Israele, dove c’è stata una commissione di analisi,
e dove, però, non c’è stata una presa di posizione forte per quanto riguarda i crimini
contro l’umanità che sono stati documentati”.
Tra le richieste che Amnesty
rivolge ai governi, ancora una volta, quella di arrivare entro l’anno ad un accordo
per un Trattato sul commercio di armi:
“Sono 500 mila le persone che ogni
anno muoiono con l’uso delle armi. La Siria, l’Egitto, la Libia sono stati tra i migliori
clienti, anche dell’Italia, per quanto riguarda la vendita di armi. Quindi, è importantissimo
che questo trattato finalmente sia firmato e contenga una 'regola d’oro' per quanto
riguarda la tutela dei diritti umani”.
L’Italia, oltre ad essere implicata
nel commercio di armi, è tra l’altro rea di aver dato una risposta poco umanitaria
alle rivolte arabe. Aveva i mezzi per salvare le vite di coloro che fuggivano attraversando
il Mediterraneo, è la denuncia di Amnesty, ma ha preferito concentrarsi sul contenimento
dei flussi migratori. Al governo Monti si chiede poi di adoperarsi per inserire il
reato di tortura nel codice penale e di fare chiarezza sui rapporti tra Italia e Libia.
RiccardoNoury,portavoce Amnesty Italia:
R. - Resta un
fatto inaccettabile e grave che l’Italia sia tra i non molti Paesi che non prevedono
il reato di tortura. Questo ha delle ripercussioni concrete, che abbiamo visto già
nei processi che sono andati in appello: penso a quello di Bolzaneto per la tortura
commessa nei confronti delle persone detenute in quel centro di transito. La sentenza
di appello dice che ci sono stati casi di tortura, ma ammette di non avere nel codice
penale le parole per dirlo. Il Codice penale non solo non ha la parola per definire
la tortura, ma non ha neanche le pene e le sanzioni. Questo vuol dire prescrizione
e getta anche una macchia sull’esito dei processi per casi di decesso, in custodia,
o comunque nelle mani delle forze di polizia, che sono avvenuti dopo Genova e sui
quali ci sono ancora delle inchieste in corso.
D. – Che tipo di collaborazione
vi aspettate da Monti?
R. – Ci vengono dei segnali di preoccupazione su due
temi. Il primo è la cooperazione con la nuova Libia in tema di migrazione. Ci sono
accordi che sono stati raggiunti recentemente con le nuove autorità libiche, i cui
contenuti non sono pubblici. Continuiamo a chiedere di conoscerne il contenuto, con
la preoccupazione che con le autorità libiche non sia possibile fare alcun accordo
in materia di immigrazione, se non a scapito della difesa dei diritti umani delle
persone coinvolte: migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Ci preoccupa un secondo
aspetto, che è quello dei rom. Il Consiglio di Stato, nel novembre 2011, aveva giudicato
illegittimo lo stato d’emergenza decretato dal governo Berlusconi nel 2008, che ha
prodotto violazioni dei diritti umani ai danni dei rom, in particolare centinaia di
sgomberi forzati a Roma, Milano e altrove. Sembrava un segnale importante, c’era stata
una dichiarazione di rispetto di quella sentenza, ma recentemente il governo Monti
ha presentato ricorso in Cassazione, adducendo ragioni tecniche. L’effetto è stato
duplice: da un lato, il Consiglio di Stato ha sospeso la propria sentenza; dall’altro,
le amministrazioni, che non aspettavano altro, hanno riavviato i lavori dell’emergenza
nomadi, in particolare l’amministrazione romana, dando nuova esecuzione al suo piano
nomadi.