2012-05-24 14:07:31

Condanne a morte, tortura e repressione. Le violazioni dei diritti umani nel Rapporto Amnesty 2012


La libertà di espressione è negata in almeno 91 paesi. In 101 si registrano maltrattamenti e torture, in 21 sono state eseguite condanne a morte e oltre 18mila prigionieri si trovano nei bracci della morte. Sono alcune delle violazioni contenute nel rapporto annuale di "Amnesty International", che sottolinea come il 2011 sia soprattutto stato un anno di proteste senza precedenti, manifestazioni che hanno dato vita ad un movimento globale spontaneo di persone, che hanno trascorso giorni e settimane in strada dimostrando che il cambiamento è possibile. Il servizio di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Da una parte il 2011 è stato segnato dal coraggio di popolazioni che si sono attivate per pretendere libertà, dignità e giustizia, e che sono riuscite a ottenere, in alcuni casi, importanti risultati. Dall’altra, lo scorso anno, è stato anche segnato dall’inasprimento della repressione dei governi in tutti i Paesi "contagiati" dal virus della protesta. Molto grave la situazione in Siria. Christine Weise, presidente di Amnesty Italia.

“In Siria ormai abbiamo contato più di novemila persone morte durante e dopo le proteste, persone che sono state uccise. Decine di migliaia sono le persone che vengono torturate. E’ un attacco contro la popolazione civile che ha tutti i criteri di un crimine contro l’umanità, perché la tortura, usata in maniera massiccia come si sta facendo adesso in Siria, è un crimine contro l’umanità. Noi abbiamo documentato come il regime di Assad osservi le manifestazioni in tutto il mondo davanti alle ambasciate, vendicandosi poi sui genitori, rimasti in Siria, dei manifestanti all’estero. Insomma, stanno veramente attuando una strategia di repressione fortissima. Per quanto riguarda le violazioni commesse da parte dell’opposizione, Amnesty International ancora non le ha documentate. E’ ovvio che con il tempo si stia formando un’opposizione che sta cercando di armarsi. Su questo vigileremo e Amnesty International, come sempre imparziale, documenterà anche le violazioni dall’altra parte”.

Nonostante gli importanti passi avanti fatti, in Egitto, così come Tunisia, si registrano ancora violazioni soprattutto contro le donne. In vista delle elezioni parlamentari in questi due Paesi, Amnesty ha chiesto ai partiti di impegnarsi a difendere i diritti delle donne senza però ricevere risposta. Particolarmente preoccupante poi ciò che sta accadendo in Libia, dove è ancora diffusa la tortura e dove in alcuni casi è accertato che sia stata mortale:

“Lo stesso nuovo governo sostiene di non essere in grado di controllare la situazione. E’ un problema di milizie che agiscono in varie zone del Paese, e che effettivamente non sono sotto il controllo del governo. Quindi, il primo compito importante del governo deve essere proprio quello di controllare le azioni di queste milizie e di garantire la sicurezza per le persone della società civile. C’è anche un altro fatto: diverse minoranze etniche, che sono sospettate globalmente di essere sostenitrici di Gheddafi, adesso subiscono dei fortissimi attacchi razzisti, non solo di discriminazione, ma di vera e propria persecuzione violenta”.

Nel 2011, milioni di persone sono scese in piazza in Nord Africa e poi nel mondo intero, da Mosca a Londra, da Atene fino a Dakar, Kampala, Phnom Penh e Tokyo. In molti di questi Paesi, però, esponenti dell’opposizione hanno subito violazioni e sono stati ridotti al silenzio. E in molti casi l’opinione internazionale si è voltata dall’altra parte di fronte alle violazioni dei diritti dei manifestanti:

“Nel Bahrein si è svolto il Gran Premio di Formula 1 e intanto il regime, che si vuol sempre dimostrare molto aperto e molto moderno, continua invece a reprimere la popolazione. In Azerbaigian sabato sera ci sarà la finale del concorso della canzone europea Eurovision. L’Italia è tornata a partecipare dall’anno scorso, dopo venti anni di assenza. Quindi, vi andrà anche una nostra artista. Dunque, si accendono i fari di tutta l’Europa sull’Azerbaigian e su Baku, che cerca di dimostrarsi un Paese moderno, un Paese europeo, ma che contemporaneamente reprime le manifestazioni: mette in prigione i blogger e i giornalisti. In questi giorni, alcune manifestazioni sono state represse con la violenza e i media europei ne stanno parlando pochissimo”.

Il fallimento delle leadership, documentato dalla brutalità o dall’indifferenza con le quali i dirigenti politici hanno risposto alle proteste, ha indebolito fortemente il consiglio di sicurezza dell’Onu, rendendolo inadeguato rispetto al suo ruolo. Amnesty chiede di intervenire duramente, e non solo per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani in Siria.

“Quarantamila persone sono state uccise negli ultimi mesi del conflitto in Sri Lanka e non sono intervenuti per niente. Quindi, non è solo il Nord Africa per cui abbiamo chiesto, e chiediamo, che il Consiglio di Sicurezza abbia una guida forte anche nella tutela dei diritti umani, ma anche per altri casi importanti, come appunto lo Sri Lanka, o come i territori occupati da Israele, dove c’è stata una commissione di analisi, e dove, però, non c’è stata una presa di posizione forte per quanto riguarda i crimini contro l’umanità che sono stati documentati”.

Tra le richieste che Amnesty rivolge ai governi, ancora una volta, quella di arrivare entro l’anno ad un accordo per un Trattato sul commercio di armi:

“Sono 500 mila le persone che ogni anno muoiono con l’uso delle armi. La Siria, l’Egitto, la Libia sono stati tra i migliori clienti, anche dell’Italia, per quanto riguarda la vendita di armi. Quindi, è importantissimo che questo trattato finalmente sia firmato e contenga una 'regola d’oro' per quanto riguarda la tutela dei diritti umani”.

L’Italia, oltre ad essere implicata nel commercio di armi, è tra l’altro rea di aver dato una risposta poco umanitaria alle rivolte arabe. Aveva i mezzi per salvare le vite di coloro che fuggivano attraversando il Mediterraneo, è la denuncia di Amnesty, ma ha preferito concentrarsi sul contenimento dei flussi migratori. Al governo Monti si chiede poi di adoperarsi per inserire il reato di tortura nel codice penale e di fare chiarezza sui rapporti tra Italia e Libia. Riccardo Noury, portavoce Amnesty Italia:

R. - Resta un fatto inaccettabile e grave che l’Italia sia tra i non molti Paesi che non prevedono il reato di tortura. Questo ha delle ripercussioni concrete, che abbiamo visto già nei processi che sono andati in appello: penso a quello di Bolzaneto per la tortura commessa nei confronti delle persone detenute in quel centro di transito. La sentenza di appello dice che ci sono stati casi di tortura, ma ammette di non avere nel codice penale le parole per dirlo. Il Codice penale non solo non ha la parola per definire la tortura, ma non ha neanche le pene e le sanzioni. Questo vuol dire prescrizione e getta anche una macchia sull’esito dei processi per casi di decesso, in custodia, o comunque nelle mani delle forze di polizia, che sono avvenuti dopo Genova e sui quali ci sono ancora delle inchieste in corso.

D. – Che tipo di collaborazione vi aspettate da Monti?

R. – Ci vengono dei segnali di preoccupazione su due temi. Il primo è la cooperazione con la nuova Libia in tema di migrazione. Ci sono accordi che sono stati raggiunti recentemente con le nuove autorità libiche, i cui contenuti non sono pubblici. Continuiamo a chiedere di conoscerne il contenuto, con la preoccupazione che con le autorità libiche non sia possibile fare alcun accordo in materia di immigrazione, se non a scapito della difesa dei diritti umani delle persone coinvolte: migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Ci preoccupa un secondo aspetto, che è quello dei rom. Il Consiglio di Stato, nel novembre 2011, aveva giudicato illegittimo lo stato d’emergenza decretato dal governo Berlusconi nel 2008, che ha prodotto violazioni dei diritti umani ai danni dei rom, in particolare centinaia di sgomberi forzati a Roma, Milano e altrove. Sembrava un segnale importante, c’era stata una dichiarazione di rispetto di quella sentenza, ma recentemente il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione, adducendo ragioni tecniche. L’effetto è stato duplice: da un lato, il Consiglio di Stato ha sospeso la propria sentenza; dall’altro, le amministrazioni, che non aspettavano altro, hanno riavviato i lavori dell’emergenza nomadi, in particolare l’amministrazione romana, dando nuova esecuzione al suo piano nomadi.







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